Gli 007 francesi e la lezione degli Shabaab somali: storia di un blitz finito malissimo

PARIGI – L’agente segreto e la testa di cuoio sono due mestieri diversi: è questa la morale che si può trarre dal fallimento totale di una missione dei Servizi segreti francesi in Somalia. Un commando della Dgse (Direction Generale de la Securitè Exterieure) aveva come obiettivo quello di liberare uno 007 francese tenuto in ostaggio dagli Shabaab Somali. Ma l’intervento si è risolto in un bagno di sangue (tutto francese) e l’ostaggio è stato ucciso dai somali. Sono passati quasi tre mesi da quell’operazione e Alfredo Mantici racconta com’è andata nella storia di copertina del terzo numero di Lookout news.

La premessa è: ma i servizi segreti devono solo raccogliere informazioni e sviluppare analisi, o devono essere anche in grado di progettare e realizzare azioni sul campo? Due sono le scuole di pensiero in proposito:

La prima sostiene che il compito esclusivo dei servizi di intelligence sia quello di raccogliere informazioni delegando, quando necessario, eventuali “azioni dirette”ai corpi speciali della polizia o delle forze armate. È la linea degli inglesi e degli israeliani, i cui servizi operano all’interno di precisi protocolli operativi di stretto coordinamento con le forze speciali.
La seconda scuola preferisce servizi totalmente autonomi anche sul piano dell’intervento “militare”, quando le circostanze lo richiedono. A questa scuola aderiscono l’americana CIA, e la francese DGSE (Direction Generale de la Securitè Exterieure).
Le attività paramilitari dei servizi assorbono enormi risorse finanziarie, sottratte al lavoro oscuro ma alla lunga produttivo (e istituzionale) di individuazione, reclutamento e gestione di preziose fonti informative. Ciò è stato ed è fonte di grossi problemi per gli organismi che amano le scorciatoie paramilitari o comunque le operazioni “attive” condotte in totale autonomia.

Per quanto bene addestrati, gli operatori dei servizi non possono competere – per efficienza operativa e per supporto logistico – con gli uomini dei corpi speciali delle forze armate. I servizi, però, sono molto spesso gelosi della propria autonomia e preferiscono fare tutto da soli. Dalla Baia dei Porci (quando la Cia tentò praticamente da sola di organizzare l’invasione di Cuba) alla liberazione di Giuliana Sgrena (quando il team operativo del Sismi italiano evitò di chiedere la scorta dei paracadutisti del “Tuscania” di stanza a Baghdad) per finire al fiasco della tentata liberazione dell’agente francese “Denis”, molti insuccessi sul campo dimostrano che la filosofia operativa degli inglesi e degli israeliani, per citare i più importanti, è più realistica e più prudente: i servizi raccolgono e analizzano le informazioni e, quando la situazione lo richiede, fanno intervenire le forze speciali. Certo, in tutte le burocrazie l’autonomia è potere. Ma, spesso, l’efficienza è un’altra cosa.

I francesi, come gli americani, pensano che fra gli ambiti di competenza degli 007 rientrino anche le operazioni paramilitari. Un’occasione per dimostrare la validità delle loro teorie è il rapimento dei “giornalisti” “Marc” e “Denis”, presi dagli Shaabab in Somalia:

È il 14 luglio del 2009. Nell’anniversario della presa della Bastiglia, a Mogadiscio un commando di guerriglieri islamisti, gli Al Shabaab, ha catturato due “giornalisti” francesi nell’albergo dove alloggiavano. I due nomi, “Denis Allex” e “Marc Aubriere”, erano in codice poiché in realtà essi erano agenti dello spionaggio francese. Sotto la più improbabile delle coperture (ai tempi di Google è fin troppo facile scoprire se uno è veramente un giornalista), i due si trovavano in Somalia come consulenti per l’addestramento della polizia e della guardia presidenziale, istituite dal fragile governo federale provvisorio. Mentre “Marc” è riuscito a tornare in libertà il 25 agosto 2009 in circostanze misteriose (a Parigi, ai piani alti della Defense si parla del pagamento di un congruo riscatto), “Denis” è stato condotto nelle campagne circostanti il santuario degli Shabaab, a Bulo Marer, nel sud della Somalia, e detenuto fino al 12 gennaio scorso.

Nell’agosto del 2012, dopo la diffusione di un video che mostrava l’ostaggio in discrete condizioni psicofisiche, il direttore della DGSE, il prefetto Erard Corbin de Margoux, ha deciso – e imprudentemente annunciato – il rifiuto di Parigi di pagare un riscatto per il proprio funzionario, lasciando intendere che l’unica opzione in campo era quella del ricorso alla forza contro gli Shabaab. Gli islamisti somali, attenti “followers” della rete (dialogano persino su twitter), una volta capita l’antifona hanno rafforzato i dispositivi di guardia intorno al compound dove era rinchiuso l’ostaggio e si sono preparati ad attendere l’arrivo dei “liberatori”.

Nell’avviare i preparativi per la liberazione di “Denis”, il capo della DGSE ha preso anche un’altra decisione che presto si sarebbe rivelata fatale: ha rifiutato di coinvolgere nell’operazione di salvataggio dell’ostaggio il COS, Commandement des Operation Speciaux, ovvero il gruppo interforze che raccoglie i migliori specialisti delle operazioni clandestine delle forze armate d’oltralpe. Dando prova di possedere un orgoglio professionale pari, forse, soltanto alla sua imprudenza, il prefetto de Margoux ha deciso, infatti, che essendo “Denis” un dipendente della DGSE, il servizio, per liberarlo, avrebbe fatto tutto da solo.

In che modo? Schierando in campo l’unità paramilitare della DGSE, il “Service d’Action”. Istituito ai tempi della guerra d’Algeria, quando il servizio si chiamava SDECE, il “Service d’Action” è stato per molti anni usato per compiere i “lavori sporchi” che l’intelligence francese con molta disinvoltura (ricordate il film Nikita?) ha realizzato in tutta la sua storia recente.

Il problema, fanno notare fonti attendibili e infuriate ai vertici della Difesa francese (il servizio che invece dipende dal Ministro della Difesa), è che un conto è rapire o eliminare un islamista algerino sotto casa e un altro è organizzare un assalto di commando in territorio ostile. Nonostante le perplessità dei militari, monsieur le Prefect non ha voluto sentire ragioni e, all’inizio dello scorso mese di gennaio, ha dato luce verde alla preparazione dell’operazione che avrebbe dovuto portare alla liberazione di “Denis”.

L’operazione inizia con un errore madornale: gli elicotteri lasciano gli uomini del commando a nove km dall’obiettivo:

Nella notte tra l’11 e il 12 gennaio i commando della DGSE sono stati depositati dagli elicotteri, con una decisione inspiegabile per i militari, a ben nove chilometri di distanza dal villaggio di Bulo Marer e dal compound nel quale “Denis” era rinchiuso sotto stretta sorveglianza. Nessuno ha spiegato perché non si sia previsto di sbarcare gli assaltatori a ridosso della prigione. Fatto sta che i commando francesi, nel farsi strada a piedi nella notte nelle campagne somale, inevitabilmente si sono fatti notare dagli avamposti degli Shabaab disseminati in un’area che è totalmente controllata dagli islamisti.

Quando, quasi all’alba, i francesi sono arrivati alla villetta in cui era rinchiuso il loro collega hanno trovato la sorpresa di un micidiale comitato d’accoglienza che li ha investiti con una pioggia di proiettili di ogni calibro. La battaglia è durata circa tre ore, durante le quali gli Shabaab hanno avuto buon gioco nel tenere a bada gli assaltatori francesi e hanno avuto il tempo di eliminare l’ostaggio (al quale non è stata d’aiuto la conversione all’Islam, molto pubblicizzata dai rapitori). Durante gli scontri, un altro agente francese è stato ucciso (foto) e molti sono stati feriti più o meno gravemente. Quando la situazione stava per diventare veramente critica per la disparità delle forze in campo, il capo dei commando francesi ha dato l’ordine di sganciamento e i superstiti hanno battuto in ritirata, per poi essere esfiltrati da elicotteri Caracal della DGSE.

Un fallimento completo. Dal quale però Francois Hollande potrebbe trarre una decisione importante: mai più 007 francesi alla James Bond (se dovranno entrare in azione chiederanno aiuto alle forze speciali) e addio al prefetto De Margoux.

L’analisi “post mortem” dell’operazione compiuta nel corso dell’inchiesta interna alla “Piscine” (questo è il nome in gergo del quartier generale della DGSE a Parigi, al 11 di Boulevard Mortier) si è conclusa poche settimane fa e le conclusioni auto-assolutorie del vertice del servizio, secondo il quale “è stato fatto tutto il possibile”, non hanno convinto i vertici del Ministero della Difesa francese né la presidenza della Repubblica.

La decisione di non utilizzare il COS, ad esempio, è stata giudicata miope e operativamente suicida. Viene fatto l’esempio dei servizi inglesi che, quando hanno bisogno di supporto militare, non fanno certamente tutto da soli (il James Bond che salta da un tetto all’altro non è mai esistito), ma chiedono un aiuto discreto al SAS (Special Air Service) o al SBS (Special Boat Squadron), come del resto fanno i servizi israeliani con il Sayeret Makhtal.

Il fallimento somalo – mentre altri sei ostaggi francesi sono ancora nelle mani dei jihadisti nel Sahel – secondo fonti qualificate, sta convincendo il ministro della Difesa francese, Jean Yves le Drian, a chiedere al Presidente Hollande di obbligare la DGSE ad abbandonare ogni velleità di azione paramilitare e a dedicarsi esclusivamente alla raccolta e all’analisi di informazioni. Si parla insistentemente di un ormai prossimo scioglimento del “Service d’Action” e del trasferimento dei suoi uomini e delle sue competenze al “Commandement des Operation Speciaux”, alle dipendenze operative dello Stato Maggiore Interforze.

Il Prefetto De Margoux è stato nominato direttore della DGSE nell’ottobre del 2008. Con la scusa dell’ormai prossimo giro di boa quinquennale del suo mandato, Hollande potrebbe sostituirlo a breve senza clamore (e, per carità di patria, senza alcun riferimento al fiasco somalo), riportando la DGSE nei confini operativi di un “normale” servizio di intelligence.
Intanto, in Somalia, emissari di Parigi stanno tentando di avviare trattative per avere indietro almeno le salme di “Denis” e del commando morto a Bulo Marer. La DGSE è disposta a pagare un forte riscatto per le salme. Ma l’operazione si è già arenata per mancanza di interlocutori affidabili.

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