8 marzo, sciopero delle donne. Da Aristofane in poi, “gambe incrociate” meglio delle mimose

ROMA – Festa della donna poco celebrativa e all’insegna della protesta. Come accadeva negli anni Settanta le femministe tornano a riprendersi la scena con scioperi e manifestazioni in tutto il mondo. Incrociano le braccia, a casa e al lavoro, contro le discriminazioni e le violenze di genere, contro il sessismo imperante e il precariato. Uno sciopero divisivo che creerà non pochi disagi perché interesserà trasporti locali, ferroviari, aerei e servizi pubblici come scuola e sanità. E ha già provocato diversi mal di pancia: in primis tra i sindacati, con i confederali che hanno preso le distanze ma organizzeranno iniziative territoriali.

Dal Piemonte alla Sicilia, da New York a Buenos Aires, sono migliaia le donne che, invece di scambiarsi mimose, andare in ufficio o occuparsi di spesa e bucato, parteciperanno alla mobilitazione indossando il nero o il fucsia d’ordinanza. Lo sciopero globale, lanciato in Argentina non riguarderà soltanto l’Italia ma anche altri 40 Paesi in tutto il mondo. Non è però una novità: già nel 410 a.C. Aristofane nella sua Lisistrata, inventava lo sciopero del sesso delle donne ateniesi finché gli uomini non avessero abbandonato la guerra del Peloponneso. E di emulazioni ne è ricca la storia: così hanno fatto le associazioni femministe in Kenya per superare l’impasse politico in cui versava il paese nel 2009, diviso dalle dispute tra il presidente Mwai Kibaki e il primo ministro Raila Odinga. O anche le donne di uno sperduto villaggio marocchino, protagoniste del film La sources des femmes di Radu Mihaileanu, che “incrociarono le gambe” contro i loro mariti per le condizioni arcaiche in cui erano costrette a vivere. E ancora la protesta delle donne colombiane di Barbacoas che nel 2011 hanno boicottato la camera da letto, pretendendo che fossero asfaltati i 57 chilometri di strada che unisce il loro municipio a quello di Junin.

C’è da dire che in questo 2017 le donne hanno scelto di fare le cose in grande: non solo l’astensione dal lavoro e dalla cura (della casa, dei figli), ma anche modalità alternative come lo sciopero bianco, l’astensione dal consumo, l’adesione simbolica, il picchetto, lo sciopero digitale. A Roma, tra le numerose iniziative è previsto un presidio delle lavoratrici di Almaviva contro i licenziamenti, una manifestazione contro la Buona Scuola davanti al Miur e un’altra davanti all’Università La Sapienza e un corteo, che partirà nel pomeriggio dal Colosseo e arriverà a Trastevere. Iniziative sono comunque in programma in tante città. In prima linea le femministe dei Centri antiviolenza, molti dei quali resteranno aperti alla cittadinanza.

Tra i politici, scontata l’adesione allo sciopero delle donne da parte dei partiti più a sinistra come Prc, SI e Possibile, mentre altrove si sono registrate diverse voci critiche. Come quella del ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, secondo la quale lo sciopero “sottovaluta i passi importanti che il Parlamento ha fatto, come mettere soldi sull’astensione dal lavoro retribuita al cento per cento se la donna denuncia il partner violento. O il piano straordinario con finanziamenti per i centri anti-violenza. Perché non andare piuttosto sui luoghi di lavoro a coinvolgere le persone? Così si rischia di discutere dello strumento, lo sciopero, non di discriminazioni”.

Perplessa anche la sottosegretaria Sesa Amici, da sempre sensibile ai temi delle donne: “Con il fatto di aver deciso che diventasse anche lo sciopero dei mezzi pubblici, abbiamo ottenuto un effetto boomerang: il rischio è che abbiamo contribuito a fare dell’8 marzo la giornata in cui si blocca la città e si bloccano le donne nella loro mobilità e possibilità di stare al centro”.

 

 

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