Afghanistan, dove le donne si danno fuoco

Pubblicato il 30 Agosto 2010 - 16:04 OLTRE 6 MESI FA

Al ‘Burning Center’, il centro ustionati annesso all’ospedale regionale di Herat, ogni posto letto occupato da una donna parla da sé. Arse vive, per amore, per gelosia, per liberarsi semplicemente dalla condizione di essere donna. In Afghanistan, come in altri Paesi islamici, non nascere uomo può anche voler dire che prima o poi per disperazione potresti darti fuoco, cospargerti di benzina il burqa, compiere un gesto di autoimmolazione. Un momento di follia dettato dalla disperazione che quando ti lascia viva si tramuta in un’ulteriore dannazione.

Una donna sfigurata non ha ‘valore di mercato’, non può essere data in sposa a nessuno e per la famiglia diventa solo un costo, un fardello di cui non ci si può far carico. E’ uno spettacolo difficile da reggere anche per gli occhi più forti.

Halima Abdul Rasul ha 20 anni, ma a guardarla ne dimostra 50. Ha ustioni sul 20 per cento del suo corpo. Si è data fuoco poco più di una settimana fa. Mentre racconta la sua storia, un fagottino si agita sul davanzale della finestra accanto al suo letto. E’ la figlioletta di sei mesi. E’ li perché ha bisogno di essere allattata. Halima è sposata ma deve condividere il marito con un’altra donna.

Lei è tra le poche ‘fortunate’. Le ustioni non sono gravi e potrà tornare a casa presto senza restare sfigurata. La ‘ricompensa’ per essersi data fuoco è l’avere il marito tutto per sé, ora.

”L’altra moglie – racconta all’Ansa – voleva far diventare mio marito un drogato. Lei era gelosa perché lui preferiva me. Ha fatto di tutto per metterci contro, ha anche cercato di costringere me a farlo drogare”. Halima non ha retto alla pressione. Si è cosparsa di benzina e si è data fuoco il giorno in cui l’altra donna dava una festa per il fidanzamento della figlia. Solo la tempestività degli invitati ha fatto sì che si evitasse la tragedia. Nel letto di ospedale ora rimpiange di aver commesso quel gesto.

La storia di Mah Jan Abdul Mamid, 16 anni, invece, non avrà lieto fine. Le restano poche ore da vivere, il suo corpo è quasi totalmente arso. Il suo volto è completamente sfigurato. E’ sotto morfina ma emette ugualmente gemiti di dolore. E’ la madre in lacrime a parlare per la figlia. Anche lei giovanissima, ha solo 30 anni e ha avuto Mah Jan quando era solo un’adolescente. ”Suo padre – dice – l’ha data in sposa tre anni fa come merce di scambio per sposare una seconda moglie. Lo sposo è il fratello di questa donna ed è un drogato”.

Una esistenza alla Cenerentola senza principe azzurro. La matrigna che la tratta male, la picchia, che racconta invece al padre che è la madre naturale a percuoterla. Un marito inerte che non è in grado di ragionare a causa della droga. Un cognato che minaccia la ragazzina di ucciderla. E cosparge Mah Jan di benzina. E’ la stessa ragazza in preda alla disperazione a finire il lavoro. Il marito drogato se ne accorge e tenta di spegnere le fiamme. Ma le fiamme hanno ormai avvolto il corpo della ragazza.

Ci sono poi i casi in cui le famiglie portano le figlie al ‘burning center’ e per pregiudizio, per paura, dichiarano che non si tratta di autoimmolazione bensì di un semplice incidente domestico. ”Di solito dicono che è stata un’esplosione di gas – spiega il dottor Aref Jalali, dello staff dei medici della struttura la cui gestione è cofinanziata dalla Cooperazione Italiana – perché non vogliono che chiamiamo la polizia, ma dalle ferite ci accorgiamo subito che in realtà si tratta di autoimmolazione”.

Mentre parla, il medico sta prestando cure a Sohalia Hossein, 20 anni. La sua famiglia nega che si sia data fuoco. Anche lei è un caso disperato. E’ in stato di shock e non risponde più alle cure. Le ustioni sono troppo profonde. ”Non abbiamo la terapia intensiva – continua il dottor Jalali – e quando sopravvivono alle ustioni spesso muoiono successivamente per infezione o anche per intossicazione a causa del fumo respirato quando si sono date fuoco. L’anno scorso abbiamo avuto 95 casi di autoimmolazione, ne abbiamo salvate solo il 25%. Quest’anno il bilancio salirà. Chiuderemo l’anno superando quota cento. Il numero di donne che si bruciano vive è destinato ad aumentare”.

Tra tanti casi al femminile, una ‘mosca bianca’, un uomo che si è dato fuoco per imitare un gesto di disperazione delle donne. Ma il suo è un caso particolare. E’ muto e con problemi mentali. Anche nella tragedia, ha avuto fortuna. Ha riportato solo ustioni leggere. Tornerà a casa senza conseguenze, lui.