In Algeria ci sono 50 mila cittadini cinesi, in nessun altro Paese dell’Africa ce ne sono così tanti: così, anche l’Algeria conosce i suoi primi scontri tra diverse culture. Il luogo in cui questi contrasti sono molto accesi è Cité Boushaki nel quartiere di Bab Ezzouar ad Algeri, che con i suoi 500 cinesi viene considerata come una piccola “chinatown”.
La migrazione dei cinesi ha inizio nel 2001, anno in cui ad una gara d’appalto per una concessione petrolifera arrivò una busta da Pechino con dentro un’offerta che non venne accolta ma che fece da apripista: oggi, la Cnpc – Petrolchina ha una raffineria nel bacino di Oued Mya e il gruppo cinese Sinopec ha una raffineria al Sud e un giacimento.
In realtà i rapporti tra la Cina e l’Algeria sono antichi: Pechino fu la prima a riconoscere il governo indipendentista algerino ai tempi della guerra di liberazione dalla Francia. Fatto sta che oggi tra la comunità cinese e il resto dell’Algeria islamica non corre buon sangue: «Giocano a carte per strada fino a notte fonda, bevono alcolici e le loro donne non si coprono» spiega un negoziante di elettrodomestici algerino, Abdelkrin Salaouda, e un suo amico in barba lunga, tunica e copricapo tradizionale aggiunge: «Quelli vogliono fare come gli ebrei con i palestinesi, ci vogliono mettere fuori casa».
I due algerini raccontano di una rissa tra gang rivali scoppiata per un parcheggio davanti al negozio di Abdelkrin: «Hanno insultato la madre di mio cugino in arabo!». A circa cinquanta passi dal negozio di elettrodomestici di Abdelkrin c’è una signora cinese, Zhou: «Ovvio che giochiamo a carte per strada fino a notte fonda, qui non c’è niente da fare la sera. Gli arabi bevono caffè ma a noi non piace e abbiamo un solo canale della tivù cinese».
Questa estate la televisione ha dato le immagini dello Xiinjiang con gli scontri fra han cinesi e uiguri musulmani: anche a Cité Boushaki sono arrivate le ripercussioni di questi avvenimenti: «Quelli (i cinesi) non rispettano gli arabi». D’altronde, anche il numero quattro di Al Qaeda Abu Yahya al-Libi ha visto nelle tensioni dello Xinjiang l’occasione per lanciare la “vendetta” nei confronti dei cinesi che si trovano nel mondo arabo.