Apple minaccia ma le tasse sono sul venduto, il prodotto viene dalla Cina. Ora tocca a Google, Amazon, Fb

La Casa Bianca
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Apple dovrà pagare le tasse in Europa, non 50 euro ogni milione di profitto ma come noi cittadini, che lasciamo al Fisco anche metà e più dei nostri guadagni per vederli succhiati da politici e burocrati inetti e ladri. Come farà il Governo italiano, come faranno gli altri Governi europei a fare marcia indietro e far finta di niente?

L ‘Italia, riporta l’ Ansa, sta pensando di utilizzare i dati raccolti dall’Antitrust Ue per recuperare quanto eluso. Altro che apposarsi fuori dei negozi per dar la caccia agli scontrini fiscali da 10 euro, qui si parla di milioni. È già bastato aver aperto un contenzioso con Apple per recuperare 318 milioni su un paio di anni fiscali.

Apple minaccia ritorsioni, Inghilterra e Turchia si fanno sotto e offrono i loro servigi come paradiso fiscale ma dimenticano che sono fuori della Unione europea e quindi il vantaggio che offriva l’ Irlanda, che è dentro la Ue sparirebbe. Dato che le tasse da pagare sono quelle sui profitti commerciali, sui prodotti venduti in Italia, la sola ritorsione che Apple può pensare è di non venderci più iPhone, iPad e computer ma sarebbe un suicidio.

Apple è un meccanismo perfetto: produce in Cina, vende nel mondo, ottimizza il prelievo fiscale, porta i profitti negli Usa.

Ora toccherà a Google, Amazon e Facebook? Ce lo aspettiamo tutti.

Intanto il caso delle tasse di Apple è diventato un caso planetario. Apple è un grande contributore del Partito Democratico Usa e in un anno di elezioni non c’è da scherzare, al punto che si è mosso, tramite portavoce, il presidente Obma. La Casa Bianca, ha fatto dire Obama, è “preoccupata” della decisione della Commissione Europea di far pagare alla Apple le tasse non pagate in Irlanda.

Preoccupata da un lato perche’ si tratta di un’azione unilaterale e dall’altra perche’ rischia di avere ripercussioni sui contribuenti Usa: la societa’ potrebbe chiedere le deduzioni negli Stati Uniti.

“Siamo preoccupati dall’ approccio unilaterale che minaccia di minare i progressi fatti con gli europei per rendere giusto il sistema di tassazione internazionale”, ha detto il portavoce Josh Earnest.

“Quando dico giusto”, ha aggiunto, “intendo giusto soprattutto per i contribuenti ma anche per le aziende che cercano di fare business nel mondo; alla fine da’ benefici all’economia su ambo le sponde dell’ Atlantico”. Se la Ue e’ preoccupata del funzionamento di meccanismi internazionali, ha continuato, “dovremmo continuare a fare progressi nel risolvere queste questioni insieme e non in modo unilaterale come nelle indagini sugli aiuti di stato”.

Lucia Sali riporta da Bruxelles per la agenzia Ansa che la stangata record da 13 miliardi contro Apple per non aver pagato le tasse dovute, ha subito scatenato le minacce di Cupertino e degli Usa su investimenti e occupazione, e le ire dell’Irlanda dove quasi 6.000 persone lavorano per la società americana. Immediata, quindi, la decisione di Dublino e del gigante ‘hi-tech’ di fare ricorso contro Bruxelles, mentre l’Italia sta pensando di utilizzare i dati raccolti dall’Antitrust Ue per recuperare quanto eluso.

La Turchia intanto non perde tempo e spalanca le porte ad Apple offrendole incentivi fiscali. La cifra ‘monstre’ – che fa impallidire il precedente record Ue di 1,29 miliardi di aiuti di stato da recuperare per il circuito del Nuerburgring in Germania – è relativa al periodo 2003-2014, in quanto secondo le regole europee la Commissione può chiedere il recupero per un periodo retroattivo di 10 anni a partire dalla prima richiesta di informazioni, che nel caso di Apple partì nel 2013.

Le indagini dell’Antitrust Ue hanno messo in luce che Apple, con gli accordi fiscali stretti con Dublino nel 1991 e nel 2007, è passata dal pagare l’1% di tasse sui profitti nel 2003 allo 0,005% nel 2014. Di fatto, questo trattamento fiscale ha consentito a Cupertino di evitare di pagare le tasse sui profitti generati dalle vendite non solo nell’interno mercato unico Ue ma anche in Africa, Medio Oriente e India, grazie alla decisione organizzativa presa dalla società di registrare tutte le vendite in Irlanda invece che nei paesi dove i prodotti sono effettivamente venduti.

A loro volta, i profitti anziché essere tassati al 12,5% come previsto dalla ‘corporate tax’ irlandese, venivano riversati a un ‘ufficio capo’ fantasma che era tasse esente in base alla legislazione sulle ‘società senza Stato’ abolita poi nel 2013. Un sistema che ha portato la casa dell’ iPhone a pagare due anni fa meno di 50 euro per ogni milione di profitti.

“Questa non è una multa ma sono tasse non pagate, è una differenza molto importante”, ha affermato la commissaria Ue alla concorrenza Margrethe Vestager, spiegando che spetta all’Irlanda decidere le modalità del recupero dei 13mld più interessi. La cifra può però essere ridotta se altri Paesi, Ue o terzi – grazie all’accesso che Bruxelles darà ai dati raccolti – chiederanno a loro volta il recupero delle tasse inevase per i prodotti venduti sul loro territorio. O se gli Usa chiederanno un recupero in fondi per ricerca e sviluppo in base all’accordo che hanno con Apple per il mercato non-americano.

La reazione di Cupertino è suonata come una dichiarazione di guerra, spalleggiata dalla Casa Bianca che si è detta “preoccupata” dall’ “approccio unilaterale” Ue: la decisione “avrà profonde conseguenze sugli investimenti e posti di lavoro in Europa”, per cui “faremo appello e siamo fiduciosi di vincere”.

E il Tesoro Usa ha avvertito senza mezzi termini che “le azioni della Commissione europea potrebbero minacciare gli investimenti stranieri, il clima degli affari in Europa, e l’importante spirito della partnership economica tra Usa e Ue”.

 

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