Il buco nella Mela. Il lavoro disumano degli operai cinesi della Apple

SAN FRANCISCO –  Dopo l’annuncio di un trimestrale da record, la Apple si trova a dover fronteggiare le gravi accuse rivoltegli dal New York Times che ha pubblicato un reportage  sui costi umani conseguenti alla produzione asiatica dei dispositivi della mela. L’articolo del quotidiano statunitense parla di eccessivi orari di lavoro, condizioni di sicurezza non garantite e persino punizioni fisiche per i dipendenti all’interno delle fabbriche cinesi di iPad e iPhone.

Due anni fa 137 lavoratori sono finiti avvelenati da un prodotto chimico impiegato per pulire gli schermi iPhone, solo negli ultimi sette mesi sono state due le esplosioni che hanno coinvolto centri di produzione di fornitori Apple: uno di Pegatron, uno di Foxconn a Chengdu, con un bilancio di 4 morti e 77 feriti.

Proprio su una delle vittime dell’esplosione avvenuta nella fabbrica di Chengdu si è concentrato il New York Times, cercando di dare un volto, un nome ed una storia, così da aggiungere particolari a numeri già di per sé drammatici: racconta così del ventiduenne Lau Xiaodong, morto sul posto di lavoro che gli rendeva 22 dollari al giorno e del gruppo Students and Scholars Against Corporate Misbehavior che due settimane prima del drammatico incidente aveva denunciato le condizioni di sicurezza e di salute nella fabbrica di Chengdu, spedendo le sue osservazioni anche a Cupertino. Senza però ricevere risposta.

Lo stesso Steve Jobs, ricorda il New York Times, discusse in pubblico le condizioni di lavoro nelle fabbriche fornitrici della Apple. “Vai in questo posto – raccontava – ed è una fabbrica, ma mio Dio, hanno ristoranti e teatri per il cinema e ospedali e piscine, dico io, per essere una fabbrica non è affatto male”. La realtà, secondo l’inchiesta del giornale di New York è ben diversa: caffetteria e infemeria ci sono ma le condizioni di lavoro restano pessime.

Il codice di condotta dei fornitori Apple, emanato nel 2005, stabilisce che i dipendenti di un impianto non devono lavorare per più di 60 ore a settimana, escluse circostanze straordinarie e di emergenza. Nonostante questo, però, Lai era costretto a stare in fabbrica 12 ore al giorno per sei volte alla settimana.

Alla fine della giornata, aveva la fortuna di poter riposare in una camera abbastanza grande da contenere un solo letto, che condivideva con la sua ragazza. E non si parla di fortuna per caso. Molti dipendenti non avevano lo stesso “privilegio”, con casi di 20 persone costrette a dormire in stanze pensate per un massimo di 3.

Le condizioni dettate da Apple è evidente dunque che non venivano e non vengono rispettate. In un recente rapporto, la casa di Cupertino ammise che si sono sensibilmente ridotti i casi di lavoro minorile, ma la regola delle 60 ore settimanali è stata rispettata solo il 38 percento delle volte. A ciò vanno ad aggiungersi violazioni al suo codice di conformità per le condizioni ambientali in ben 14 impianti. Un rapporto trasparente, quindi, che conferma al tempo stesso l’impegno del gruppo per evitare problematiche simili e la consapevolezza del fatto che imporre regole “occidentali” in Cina è in questa fase ancora eccessivamente complesso.

I lavoratori non hanno infatti una formazione adeguata circa l’utilizzo di prodotti chimici e non godono neanche di un’adeguata assistenza sanitaria. Alcuni operai segnalano inoltre una scarsa ventilazione all’interno delle fabbriche e inadeguati strumenti di protezione individuale.

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