ROMA – In Libia sono state trovate armi chimiche. A dare l’annuncio domenica sera il premier dimissionario del Consiglio di transizione libico (Cnt), Mahmud Jibril, alla tv Al Arabiya. Una dichiarazione che arriva a 24 ore dallo scadere della missione Nato in Libia. Volendo dare per vera la notizia del ritrovamento, ora che cosa ci faranno gli ex ribelli con queste armi? Le consegneranno alla Nato? Oppure le utilizzeranno? Magari, come faceva Gheddafi, le lasceranno lì, da una parte, come arma di ricatto? O forse le punteranno sull’Italia, Paese molto vicino (grazie a Berlusconi) a Gheddafi e tra l’altro attualmente in contrasto con la Francia (che in Libia ora la fa da padrone)?
Intanto si sta lavorando per organizzare una coalizione di volenterosi una volta che l’Alleanza sarà partita, ma nel Paese, secondo la denuncia di Human Rights Watch (Hrw), è allarme vendette tra fazioni finora contrapposte con rappresaglie e inevitabili spargimenti di sangue.
Alla televisione satellitare Al Arabiya, Jibril aggiunge che l’Aiea, l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, darà l’annuncio del ritrovamento nei prossimi giorni. E domani, dopo 215 giorni si conclude l’Operazione della Nato, Unified Protector, partita a metà marzo dopo il disco verde delle Nazioni Unite. Alla mezzanotte di domani, 31 ottobre, il controllo dello spazio aereo libico passerà sotto la responsabilità del Consiglio nazionale di transizione (Cnt). Le missioni sono state complessivamente oltre 26.200, delle quali più di 9.600 d’attacco, tanto che il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, parla di «una delle operazioni di maggior successo nella storia della Nato».
Una serie di Paesi della Nato, ma anche alleati esterni all’Alleanza Atlantica, hanno anche espresso la disponibilità a continuare a dare supporto «se richiesto» al Cnt, dopo la fine della missione. Nel frattempo prende corpo l’ipotesi di una Forza multinazionale che dovrebbe aiutare la stabilizzazione politica della Libia. La missione – di cui si è parlato in settimana in una riunione a Doha tra i capi di stato maggiore dei Paesi impegnati militarmente in Libia – dovrà aiutare a garantire la sicurezza dopo che la Nato sarà tornata a casa. Fra i Paesi che intendono aderirvi: Gran Bretagna, Marocco, Svezia e Giordania.
E anche l’Italia sta valutando la sua eventuale partecipazione contribuendo con addestratori per le forze di sicurezza libiche. E nella Libia del dopo Muammar Gheddafi non si placano antiche rivalità tra fazioni che per mesi si sono combattute, come denuncia Human Rights Watch (Hrw) documentando alcuni raid compiuti da miliziani di Misurata contro gruppi di sfollati provenienti da Tuarga, bastione dei partigiani filo-gheddafiani.
“Uomini armati di Misurata terrorizzano gli abitanti di Tuarga, e li accusano di avere commesso atrocità insieme alle forze di Gheddafi a Misurata”, ma anche stupri e omicidi, afferma l’organizzazione di difesa dei diritti umani in un comunicato. Hrw si basa sulle testimonianze di decine di abitanti di Tuarga sfollati in varie parti nel Paese che hanno parlato di scontri a fuoco con gruppi di miliziani di Misurata che sparavano anche sui civili disarmati. Le stesse fonti hanno raccontato anche di arresti arbitrari e di violenze commesse sui detenuti che, in alcuni casi, li hanno portati alla morte.
L’organizzazione si appella al Consiglio di transizione nazionale libico (Cnt) e chiede di porre i gruppi armati di Misurata sotto un comando unificato e poi di processare i responsabili dei crimini. Continua intanto la fuga di Saif al Islam, il figlio di Gheddafi scappato con tutta probabilità nel sud della Libia e che forse avrebbe trovato riparo in un Paese confinante, Niger o Mali. A tutt’oggi «non c’è alcun negoziato con la Corte penale internazionale (Cpi)» ha assicurato il procuratore Ocampo aggiungendo che contro il figlio del rais ci sono prove di coinvolgimento in attacchi contro i civili e nel reclutamento di mercenari. E il Niger avverte: se Saif si consegnasse alla Cpi, ci potrebbe essere il rischio di una rivolta dei tuareg.