Attentato Sousse, ritratto killer Seiffedine Rezgui: ingegnere, studiava Corano

Attentato Sousse, ritratto killer Seiffedine Rezgui: ingegnere, studiava Corano
Attentato Sousse, ritratto killer Seiffedine Rezgui: ingegnere, studiava Corano (Foto LaPresse)

SOUSSE – Ingegnere informatico, 23 anni, studiava il Corano e frequentava due moschee. Questo il ritratto di Seiffedine Rezgui, il killer dell’attentato terroristico Isis nelle spiagge di Sousse, in Tunisia.

Andrea Galli sul Corriere della Sera scrive che Rezgui era di Kairouan, dove si trova la base dei salafiti:

“Seiffedine Rezgui, il killer in costume, il ragazzo che sui social network inneggiava alla jihad, lo studente omaggiato dall’Isis, che (in ritardo di alcune ore) ha rivendicato la strage a Sousse e ha battezzato il 23enne con un nome di battaglia, per accompagnarlo nel viaggio in «paradiso». Sua ricompensa per l’agguato, insieme sembra ai soldi donati alla famiglia, originaria della Tunisia settentrionale da dove rimbalzano voci ovviamente difensive, perché Seiffedine era «un timido introverso, soffriva la vita».

Il killer ha affrontato i 45 minuti di strada che da Kairouan lo hanno portato a Sousse, dove è arrivato in costume e armato di kalashnikov:

“I negozianti se lo ricordano, l’assassino. Girava con altri universitari, comprava il necessario per un giovane; non era uno isolato ma anzi si aggregava, specie al bar Jeraba, nella piazzetta dell’ufficio postale, chiacchiere e risate bevendo con lentezza il caffè e mai ordinando alcolici.

Il killer frequentava due moschee, una delle quali, simile a una piccola abitazione, figura nell’elenco di quelle chiuse, dalle undici di sabato, dal ministro dell’Interno in quanto «luogo di terroristi». La presenza nelle moschee di Rezgui, confermata dai testimoni come i proprietari delle botteghe vicine e in particolare un venditore di tappeti (all’entrata ha ben in evidenza la fotografia d’una ragazza velata), è un dato acquisito degli investigatori. Ma soltanto adesso. Se in una fase iniziale non avevano avuto nulla da segnalare sullo stragista nemmeno gli attenti e preparati servizi segreti, il quadro è clamorosamente cambiato”.

Ancora tanti i punti da chiarire, scrive Galli, tra cui quello su come un ragazzo si sia procurato un kalashnikov:

“Fino alla primavera araba del 2011, in Tunisia c’era ampia disponibilità di armi. Da allora, gli arsenali sono diminuiti. Le forze dell’ordine hanno dedicato indagini per stanare pistole, mitragliatrici e bombe, seppellite nei ruderi delle montagne. Dopo l’attentato al museo del Bardo, a marzo, sono stati rafforzati i controlli nella parte debole, crocevia di mille traffici, al confine con la Libia, che Rezgui non avrebbe mai visitato, magari per allenarsi in un campo dell’Isis.

Sul suo passaporto non risultano timbri di viaggi all’estero. Forse ha barato, e s’è mosso clandestinamente. Ci dice il commerciante di un negozio di cover rosa e marroni per l’Iphone, a pochi metri dall’arco d’ingresso della medina: «Viviamo in queste vie strette e corte. Ci conosciamo, ci incontriamo. Il ragazzo? Educato, alla mano. Uguale a mille altri che mi passano davanti»”.

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