AUCKLAND – Fermare la crescita della proprio bambina disabile di dieci anni, bloccarla in un eterno presente per non farle provare dolori più di quelli già sofferti adesso, che è cieca, non può parlare e non è nemmeno in grado di camminare. E’ la scelta di una coppia di genitori neozelandesi, che hanno già ottenuto che un ospedale rimuovesse l’utero alla loro figlia, e che adesso intendono sottoporla ad un bombardamento di estrogeni per fare in modo che la sua crescita si blocchi e che lei non provi i dolori che rischierebbe di provare con la pubertà.
La vicenda di Charley, così si chiama la bambina, sta spaccando l’opinione pubblica della Nuova Zelanda. E’ giusto fermare la naturale crescita di una bambina, e il naturale corso della sua vita, per risparmiarle dei dolori e per evitare che ci sia bisogno di macchine per sollevarla? La scelta dei suoi genitori è una scelta di amore o di egoismo?
I fatti parlano di una bambina che ha gravissime disabilità dopo essere rimasta senza ossigeno alla nascita: non vede, non parla e non cammina. E’ alta 1,30 e pesa 24 chili. E i suoi genitori vogliono che così rimanga, per non farla soffrire di più, sostengono.
Così le hanno fatto rimuovere l’utero come parte di una terapia per rallentarne la crescita. E hanno chiesto e, alla fine, ottenuto che le vengano somministrati ormoni in grado di non farle crescere il seno e bloccare la pubertà.
In un primo momento il comitato etico dell’ospedale pediatrico di Auckland aveva vietato il trattamento, ritenendolo non necessario. Ma i suoi genitori non si sono arresi: ”Non calpestiamo i suoi diritti umani. Anzi, siamo preoccupati del contrario, ha detto la madre di Charley. Lei ha il diritto a vivere la vita migliore possibile, senza dolore e coinvolta nelle attività della famiglia per quello che può fare. E questo sentiamo di offrirle”.
Così la famiglia ha chiesto di iniziare la terapia all’estero e poi continuarla in Nuova Zelanda, ricevendo così il via libera dal comitato etico. Gli ormoni sono stati somministrati per la prima volta da un medico in Corea del Sud, e poi allo Starship Children’s Hospital di Auckland. Da quando ha iniziato la terapia, riferiscono i genitori, la bambina sorride più spesso e sembra in grado di muoversi meglio. Loro non sono pentiti della loro decisione.