Brasile, la vendetta per la libertà di Cacciola dietro all’estradizione negata di Battisti

Cesare Battisti (Foto LaPresse)

ROMA – Il vero motivo per cui il Brasile non ha estradato l’ex terrorista italiano dei Pac (i Proletari armati per il comunismo) Cesare Battisti si chiama  Salvatore Alberto Cacciola. Il nome, che forse ai più non dice molto, è quello di un banchiere nato a Milano nel 1944, cresciuto in Brasile e qui condannato a 13 anni di carcere per il fallimento di una banca, fuggito in Italia nel 2000, arrestato dall’Interpol a Montecarlo ed estradato in Brasile.

La circostanza che avrebbe portato le autorità brasiliane, a diversi anni di distanza, a negare a Roma il suo ricercato potrebbe essere proprio il mancato aiuto alla giustizia carioca offerto dall’Italia quanto Cacciola si trovava qui.

Nel 2009, per difendere la decisione di concedere l’asilo politico a Battisti, fu lo stesso ministro brasiliano della Giustizia, Tarso Genro, a paragonare la situazione dell’ex terrorista a quella di Cacciola: “L’Italia non ha concesso l’estradizione per Cacciola, un criminale comune”.

Condannato in patria per appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta, Cacciola ha potuto vivere libero per sei anni in Italia. Ma Brasilia non l’aveva dimenticato, tanto che lo catturò non appena il banchiere lasciò il territorio italiano attraverso Ventimiglia, per un week-end a Montecarlo con la fidanzata.

In una intervista al quotidiano “La Folha de Sao Paulo”, il ministro Genro rispose alla lettera del presidente Giorgio Napolitano, che esternava “profondo stupore e rammarico” per la decisione su Battisti, sostenendo che nel caso Battisti “il governo brasiliano ha attuato rispettando la legge e la Costituzione allo stesso modo in cui ha fatto l’Italia quando non concesse l’estradizione di un “criminale comune” come il banchiere Cacciola”.

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