Charlie Hebdo vignette: paesi latini pubblicano, anglosassoni e Usa no

Charlie Hebdo vignette: paesi latini pubblicano, anglosassoni e Usa no
Charlie Hebdo vignette: paesi latini pubblicano, anglosassoni e Usa no

ROMA – I paesi latini hanno pubblicato le vignette satiriche di Charlie Hedbo. Le stesse vignette per cui il direttore Charb e gli altri disegnatori sono stati uccisi. I paesi anglosassoni, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, invece no. Dopo la strage nella redazione di Charlie Hedbo i media si dividono, tra chi come Timothy Garton Ash lancia un appello per pubblicare le vignette e i direttori dei giornali che temono per la sicurezza dei loro giornalisti e redattori. Tanto che negli Stati Uniti le vignette con Maometto sono state censurate.

Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera scrive:

“Alcune di quelle vignette sono efficaci. Altre non fanno ridere. Altre ancora appaiono inopportune. Si possono criticare. Ma sarebbe un errore grave dividersi oggi sulla libertà d’espressione, che va difesa sempre, anche quando diventa libertà di dissacrazione. Il contrasto tra il riso e l’integralismo religioso è antico di secoli”.

E aggiunge:

“La Francia è il Paese più esposto, non solo perché ha avuto un impero coloniale; è il Paese del velo vietato per legge, della Repubblica laica in piena crisi identitaria. Ma anche l’Inghilterra multiculturale ha generato terroristi e tagliagole. L’Italia il suo Islam lo sta importando, ed è cruciale costruire argini più efficaci all’immigrazione senza controllo. Possiamo essere orgogliosi delle vite salvate in mare, e nello stesso tempo agire contro gli scafisti e impedire atti di aperta ostilità, come le imbarcazioni lanciate con il pilota automatico contro le nostre coste. È importante tenere alta la guardia, rafforzare la prevenzione e la sicurezza”.

Proprio sulla sicurezza i giornali e media di tutto il mondo ora si dividono, spiega su Repubblica Enrico Franceschini:

 

“Il mondo dei media si è per il momento diviso fra chi non pubblica nulla o soltanto vignette che non ritraggono Maometto e chi invece ha pubblicato proprio il materiale che ha fatto infuriare gli islamisti, come la famosa copertina di Charlie Hebdo in cui il Profeta ammonisce: «Vi farò dare 100 frustate se non morite dal ridere!»”.

Nonostante l’appello di Timothy Garton Ash di pubblicare le vignette, i paesi anglosassoni e gli Stati Uniti sono divisi:

“«Siamo dei codardi», scrive amaramente un columnist del Times. Viceversa Tony Barber, commentatore del Financial Times, definisce «editorialmente stupida» la scelta del settimanale parigino di provocare consapevolmente l’ira dei musulmani e lo giudica «non il miglior campione di libertà di espressione»: uscito prima sul sito, il suo articolo è stato ritoccato ieri sera, cancellando questi due severi giudizi, che hanno scatenato sdegno sui social network, ma li ha ripristinati nella versione cartacea pubblicata ieri mattina.

Non finisce qui. In America il Washington Post afferma: «Non pubblichiamo mai immagini che possono offendere qualunque religione» e il New York Times segue la stessa linea. Ma il quotidiano del Watergate deve incassare le critiche di una delle sue firme di punta, Carl Bernstein, che con Bob Woodword fece esplodere quello scandalo.

In Danimarca alcuni giornali hanno pubblicato le vignette e altri no. L’ Huffington Post, il Daily Beast, Slate e altre testate online le hanno pubblicate; la Bbc e la Cnn no. D’altra parte, come denuncia il blog statunitense Gawker, considerato in patria una sorta di “tempio” della controinformazione, il Daily Telegraph britannico e il New York Daily News hanno pensato bene di “pixelare”, quindi rendendole irriconoscibili, le copertine più controverse contro il Profeta e l’Islam.

Stephen Pollard, direttore del Jewish Chronicle, un giornale britannico, pone il dilemma in questi termini: «Il mio istinto giornalistico mi dice di pubblicare tutto, ma che diritto ho di rischiare la vita dei miei redattori?»”.

Un mondo spaccato, quello dei media, tra chi senza filtri proclama “Je suis Charlie” e ripubblica le vignette e chi invece teme e si nasconde. Proprio a questi ultimi Timothy Garton Ash in un articolo, tradotto da Emilia Benghi per Repubblica, invita tutti ad unirsi per il diritto di satira e la libertà di parola e pubblicare le vignette per una settimana:

“Propongo che durante questa settimana si pubblichino non solo le vignette di Charlie Hebdo relative a Maometto, ma anche alcune mirate ad altri soggetti, così da evidenziarne il carattere satirico, offensivo per diverse categorie di persone. La satira è proprio questo. Il comunicato avrà il compito di motivare la pubblicazione delle vignette satiriche da parte di media che non ne hanno normalmente l’abitudine. I lettori e gli spettatori dovranno essere avvertiti in anticipo della pubblicazione, ma le immagini non dovranno essere in alcun modo censurate o modificate”.

E propone un commento, da inserire su qualsiasi giornale, blog o quotidiano, da scrivere come premessa:

“«Non si deve mai permettere che la violenza limiti la libertà di parola. Per questo, pur non pubblicando normalmente vignette satiriche, abbiamo scelto di farlo oggi, assieme ad altri media in tutta Europa. Solo questa solidarietà dimostrerà agli assassini e aspiranti tali che non possono dividere i media per renderli succubi ricorrendo all’intimidazione affinché si autocensurino. L’attacco contro uno è attacco contro tutti. In questo senso nous sommes tous Charlie.

Così gli assassini otterranno come unico risultato che le vignette su Maometto saranno sotto gli occhi di milioni di persone che altrimenti non le avrebbero mai viste. Sono gli assassini, non i vignettisti, a far questo all’immagine del Profeta. E’ sorto infatti un enorme, legittimo, interesse da parte dell’opinione pubblica riguardo alla causa verosimile del grottesco massacro dei vignettisti francesi Charb, Cabu, Honore, Wolinski e Tignous — nomi ormai entrati nella storia — dei loro colleghi e dei poliziotti per mano dei terroristi.

La pubblicazione coordinata delle vignette non è un gesto gratuito. Non è contro l’Islam. Al contrario, è proprio in difesa della realtà per cui i musulmani d’Europa — a differenza dei cristiani e degli atei in gran parte del Medio Oriente — possono esprimere liberamente le loro convinzioni più radicate e sfidare quelle altrui. È in gioco il destino dell’Europa e della libertà. La nostra convivenza nella libertà dipende da questo: che non prevalga il veto degli assassini»”.

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