Cibi contaminati dal Giappone? Scatta l’allarme sushi: l’Europa impone controlli più severi

ROMA – L’allarme nucleare del Giappone sta provocando l’ “allarme sushi” sulle tavole dei cittadini europei. L’Unione Europea infatti ha già allertato i 27 Stati membri prescrivendo analisi dei livelli di radioattività su tutti i prodotti alimentari destinati all’uomo e agli animali. E in Italia il ministro della Salute Ferruccio Fazio ha annunciato “misure restrittive”: sarà messo al setaccio tutto ciò che riguarda il settore con data post terremoto.

Si tratta in ogni caso, in Italia e in Europa, di una nicchia di mercato: l’import di prodotti alimentari è “minimo”, secondo l’Ue, seppure in crescita. Anche chi ama il sushi, dunque, dovrebbe poter stare tranquillo: il pesce è locale, e le alghe potranno essere sostituite, quando già non lo sono, con quelle cinesi.

È Frederic Vincent, portavoce del commissario alla Salute europeo John Dalli, ad annunciare che il sistema di allerta rapido ha già messo in guardia i Paesi dell’Ue. Aggiunge che sulle importazioni di alimenti e mangimi il valore totale dell’Unione in campo alimentare è stato complessivamente di “appena 65 milioni di euro”. L’Italia non è fra i primi clienti, che sono invece sono Germania, Olanda, Regno Unito, Belgio e Francia. Dal Giappone gli europei importano per lo più prodotti della pesca come molluschi bivalvi, cibo per animali di compagnia e ortofrutticoli.

D’ora in poi, in presenza di ogni anomalia sulla radioattività, andrà fatta una segnalazione alla rete “Ecuri”, sistema europeo per l’allarme in campo nucleare. Anche Fazio invita gli italiani a stare tranquilli: “Le misure restrittive sono relative a prodotti di origine animale in particolare il pesce pescato, come crostacei congelati, preparati, farine e caviale, e a prodotti di origine vegetale come ad esempio salsa di soia, tè verde, e alghe”. Prodotti, ha comunque rassicurato il ministro, che “rappresentano una quota bassa delle importazioni perchè sono sotto, sia per il pesce sia per gli alimenti di origine vegetale, lo 0,1% dell’importazione di categoria. In sostanza si tratta di una quota non rilevante”.

I controlli scatteranno sui prodotti confezionati dopo l’11 marzo; dureranno qualche settimana, saranno effettuati a campione (in media 1 su ogni 1000-1500 confezioni) e gli esami si svolgeranno nei laboratori di Foggia o di Roma. La cucina giapponese, ha detto infine, è sicura: “Si basa su pesce fresco e dunque non può essere sottoposta a limitazioni”. Per la Coldiretti il blocco dell’import di cibo giapponese varrebbe 13 milioni di euro: l’ammontare dei prodotti agroalimentari arrivati nel 2010; che incide appena, aggiunge l’associazione, lo 0,03% del comparto.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali, i cuochi giapponesi non si fidano dei prodotti che arrivano dalla Madrepatria e, scrive Michela Proietti sul Corriere della Sera, “finché non ci saranno smentite sulla pericolosità dei cibi giapponesi, le materie prime utilizzate in cucina saranno rigorosamente locali o comunque europee”.

Alcuni esempi? “La soia dall’Olanda, la birra dalla Germania, le alghe al massimo dalla Cina, il tè dello Sri Lanka, «anche se le foglie di quello giapponese vengono coltivate nella zona del Monte Fuji»”.

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