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Cina colonialista in Africa: multe ai giornalisti che sbagliano, e in coda al Wc…

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Cina colonialista in Africa: multe ai giornalisti che sbagliano, e in coda al Wc…

ROMA – La Cina espande la sua influenza nel mondo e in Africa lo fa anche con le news. A Nairobi, capitale del Kenya, i cinesi hanno impiantato una stazione tv con 150 fra giornalisti e tecnici: è la succursale kenyiota della tv di stato cinese, la China Global Television Network (CGTN). Sono tre piani di un edificio elegante, nel centro di Nairobi, come riferisce Bartholomäus Grill del settimanale tedesco Spiegel.

Negli ultimi venti anni, spiega il giornalista tedesco, la Cina è diventata il più forte partner economico dell’Africa, con un volume di scambi annuali di oltre 200 miliardi di dollari, una cifra molto più alta degli scambi africani con gli Stati Uniti o con le ex potenze coloniali come la Francia e il Regno Unito. La misura dell’espansione dell’influenza cinese in Africa è data dagli investimenti fatti in vari Paesi: in Algeria 23 miliardi di dollari, Egitto 24,4, Etiopia 23,9, Angola 24,1. La Cina ha investito di più in Nigeria, 50 miliardi di dollari, ricca di risorse naturali. In Kenya, 16,8 miliardi di dollari.

Il consolidamento della Cina nel paese va oltre i beni e i servizi. Due anni fa, ha stabilito una base navale a Gibuti, in Africa orientale. Si ritiene che oltre un milione di cinesi ora considerino l’Africa come casa: in molti paesi, sono visti come conquistatori non sono solo interessati alle risorse naturali e ai nuovi mercati, ma anche a viverci stabilmente. Secondo un sondaggio, la maggioranza degli africani apprezza il coinvolgimento cinese ma i critici, come l’autore senegalese Adama Gaye, hanno messo in guardia su una nuova forma di colonialismo.

Al fine di lustrare la sua immagine, Pechino si è trasformata in uno strumento di soft power. La Cina ha appoggiato le iniziative diplomatiche e con circa 2.500 soldati ha contribuito alle missioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Congo, Sudan del Sud e Mali. Sta inoltre collaborando per combattere l’epidemia di Ebola e ad Addis Abeba ha perfino finanziato la costruzione della sede dell’Unione Africana. In tutto il continente, Pechino ha realizzato 49 Istituti Confucio che promuovono la lingua e la cultura cinese.

Al centro della politica di internazionalizzazione della Cina c’è un’offensiva mediatica lanciata nel marzo 2018, un’iniziativa coordinata dal gruppo Voce della Cina e attentamente monitorata dalla censura del partito comunista. L’agenzia di stampa statale Xinhua è stata ingrandita e ora sostiene di essere il più grande notiziario al mondo. In Cina, ogni anno 1.000 giornalisti africani partecipano a programmi di formazione e gli investitori cinesi hanno fatto ingenti investimenti nei media africani. Il canale tv  StarTimes ora trasmette a pagamento in 30 paesi africani e dichiara di essere il canale digitale più influente del continente.

Secondo CGTN, China Global Television Network, gli uffici di Nairobi sono una delle maggiori filiali al di fuori della Cina ed è l’unica emittente televisiva al mondo che trasmette in tutte e sei le lingue ufficiali delle Nazioni Unite. Su Facebook ha 79 milioni di follower, più o meno quanto la BBC e la CNN. Come sono trattati i kenyioti dai cinesi è riferito allo Spiegel da un giornalista di CGTN. “È un sistema di apartheid”: i cinesi al vertice, poi i bianchi, in seguito i neri e in fondo i kenyoti. “Dobbiamo permettere che i cinesi vadano per primi nei bagni e possiamo mangiare in mensa solo dopo le 13, quando i cinesi hanno già mangiato. Ci trattano come loro subalterni”. E se commettono errori, sono multati. C’è chi arriva a vedersi lo stipendio di 2 mila euro mensili ridotto alla metà, a colpi di 17 euro per errore.

Non fidandosi molto degli africani, i cinesi controllano: i testi particolarmente delicati devono essere revisionati a Pechino e se la censura disapprova, gli articoli vengono bocciati. Sono argomenti tabù le critiche al governo, i problemi dei diritti umani o l’analisi della crescente quantità di debito africano detenuto dai cinesi. C’è anche chi non drammatizza. Dice Naftali Mwaura, un giornalista quarantenne che lavora per l’agenzia di stampa Xinhua:”Abbiamo buoni rapporti con i cinesi, anche se preferiscono rimanere per conto loro”. Mwaura ritiene che i media locali avvelenino le relazioni con i cinesi poiché non capiscono la cultura cinese e risentono ancora degli atteggiamenti coloniali britannici. Secondo il giornalista, il coinvolgimento della Cina in Africa è uno scenario vantaggioso per tutti e di aiuto a far progredire il continente. Che la Cina stia conquistando l’Africa, afferma Mwaura, sono solo “stupide chiacchiere” di blogger sul libro paga delle ambasciate occidentali. Ritiene che il suo compito sia quello di fornire reportage ottimisti per contrastare tale “negatività”.

Il giornalista dice che può scrivere su qualsiasi argomento ma aggiunge che i suoi supervisori si assicurano che gli articoli siano “politicamente corretti”, il che significa riflettere la visione comunista. Dopo tutto, afferma “stiamo lavorando per conto degli interessi geopolitici dello stato cinese”. (fonte SPIEGEL)

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