I cinesi si espandono in Afghanistan, concorrenza anche alle piastrelle  I cinesi si espandono in Afghanistan, concorrenza anche alle piastrelle 

I cinesi si espandono in Afghanistan, concorrenza anche alle piastrelle 

I cinesi si espandono in Afghanistan, concorrenza anche alle piastrelle 
I cinesi si espandono in Afghanistan, concorrenza anche alle piastrelle. Reportage del fotografo olandese Thijs Broekkamp. Sullo sfondo del Paese in guerra, la vita continua e l’economia cresce. Nella foto: a Herat, palazzi ultra moderni, auto, motorini e un bambino si gode il suo gelato

PECHINO – La Cina non si ferma davanti alla guerra civile e religiosa che tormenta l’Afghanistan. La concorrenza delle piastrelle cinesi sta mettendo in ginocchio una importante attività semi industriale che fioriva in Afghanistan, al riparo da bombe e attentati dei Talebani. Sembra un dettaglio ma è un fatto che indica non solo l’inarrestabile e tentacolare espansione cinese verso occidente, ma anche i cambiamenti avvenuti nel Paese al centro, oggi come ieri, del Grande Gioco asiatico, dalla caduta del regime teocratico talebano, una specie di Movimento 5 stelle in nome del loro dio.

Il nuovo Afghanistan emerge in un ritratto di centinaia di scatti fotografici tratteggiato dal fotografo olandese Thijs Broekkamp. Il fotografo ha percorso vari Paesi dell’Asia centrale, in particolare l’Afghanistan in cui ha ripreso una serie di scene: dalle strade affollate e i vivaci mercati di Kabul alla splendida Moschea Blu di Mazar-i-Sharif e una tradizionale fabbrica di tegole a Herat.

Mostrano la vita di tutti i giorni in Afghanistan: commercianti nel bazar, bambini che giocano nelle moschee, pendolari persi nei loro pensieri. Sono scene innocenti, in netto contrasto con le immagini terrificanti che finiscono in prima pagina.

Ci sono molti posti, dice, dove non avresti notato molto la guerra. Le persone andavano a comprare il gelato, i frullati ed erano abbastanza allegre. C’erano molti luoghi con bar di frullati, non meno eleganti di quelli che ci sono in occidente. Anche a Kabul ce ne erano di simili. 

Broekkamp ha detto al Mail: “Volevo mostrare che la vita continua nonostante la guerra e dare un volto alle persone dietro la guerra. Trovo un po’ irrispettoso saltare immediatamente alle conclusioni ed etichettare quelle società. In Occidente alcune persone sono pronte a ritenere i nostri valori come i migliori e a giudicare qualunque società che non vive degli stessi valori. Potresti essere in disaccordo su qualsiasi cosa della loro cultura ma iniziamo col riconoscere le cose belle che si possono scoprire in questo paese, che ci sono dei sorrisi e partiamo da lì”.   

Le immagini scattate da Thijs in Afghanistan saranno esposte in una mostra a Parigi. Su Instagram, The Stans Project, e Facebook sta postando le foto del suo tour in Asia. Sta inoltre lavorando per creare una fondazione olandese mirata a sostenere l’Afghan Mobile Mini Circus, che aiuterà i bambini afghani ad affrontare attraverso le arti, il trauma della guerra.

“Gli afghani sono un popolo orgoglioso e forte, che ha sofferto immensamente nel gioco tra l’estremismo religioso e le forze straniere che operano nel loro paese. Anche loro meritano un’opportunità per avere la pace e per riconnettersi al mondo”, ha spiegato Broekkamp.

Ciò che del Paese ha sorpreso di più Thijs è stato il modo normale in cui si svolgeva la vita, nonostante fosse una zona di guerra. La conferma di quel che dice è nella nostra stessa storia europea. Il capolavoro di Remarque “Tempo di vivere, tempo di morire” è una storia d’amore e di vita futura intrecciata con i fili della morte. Né sembra che nell’Europa tormentata dalla guerra e dalla occupazione nazista, le nascite si siano fermate fra il 1940 e il 1946.

“Non ero mai stato in un Paese che si trova in una situazione del genere ma in una zona di guerra mi aspettavo che tutto fosse in rovina e che la vita si fermasse completamente. Ma la vita continua. Le persone si recano al lavoro, cercano di arrangiarsi e non arrendersi infelici e drogarsi tutto il giorno”, ha osservato Broekkamp. 

Prima di visitare le città di Herat, Mazar-e-Sharif, le province circostanti di Balkh e Samangan e la valle del Pansjhir, è arrivato a Kabul e per diversi giorni ha esplorato la capitale. Ma la vita umana vale molto poco da queste parti. Thijs Broekkamp, ha scritto Jennifer Newton sul Daily Mail che ha pubblicato una serie di foto, “senza dubbio ha rischiato la vita per scattare queste immagini”.

Broekkamp sottolinea che per gli occidentali lì è “quasi impossibile e molto pericoloso viaggiare da soli” e né lui né la sua guida hanno detto a nessuno l’itinerario, nemmeno alla polizia. Vestiti con abiti locali per mantenere un basso profilo, Broekkamp e la guida hanno soggiornato in piccoli hotel locali e mantenuto segreti i loro movimenti.

Thijs Broekkamp ha senza dubbio rischiato la vita per poter scattare queste foto che mostrano la vita quotidiana in Afghanistan. “Le immagini che vedete sui media riguardano quasi esclusivamente la guerra e il terrorismo, dunque è difficile immaginare qualcos’altro. Ciò che inoltre mi ha sorpreso è che molte persone sono in grado di dire qualche frase di inglese, meglio di tutti gli altri Paesi dell’Asia centrale in cui sono stato.  La generazione giovane spesso mi ha fermato per strada, mi ha chiesto da dove venissi e quale fosse il mio nome. Alcuni erano felici di parlare in inglese ed erano estremamente interessati e curiosi. Erano molto contenti che fossi arrivato solo per vedere e conoscere il loro Paese. La maggior parte degli occidentali che incontrano sono militari e diplomatici che arrivano per motivi politici. Mi è piaciuto molto visitare le moschee come la Moschea Blu di Mazar-e-Sharif e i bazar come il mercato degli uccelli di Kabul. Sembravano luoghi lontani dal tumulto della guerra. Qui ho sentito che potevo osservare come sarebbe la vita normale senza una guerra”.

Una delle sue foto preferite è quella che mostra una mamma che porta suo figlio alla Moschea Blu. “È un’immagine innocente e pacifica, rafforzata dai toni chiari e dai colori vivaci. Qui non c’è nessuna guerra. Il bambino sta dormendo, apparentemente sereno. C’è l’incredibile architettura della moschea e una donna che cammina senza il burqa. Cammina nella luce, nel sole, si spera che sia una metafora di prossimi tempi migliori”.

Sebbene questa sia la foto preferita, Thijs ammette che pochissime mostrano delle donne. “Non è che non ci siano, ma generalmente non vogliono essere fotografate, soprattutto dagli uomini”.

Le foto di Broekkamp fanno riflettere. Il vecchio e il nuovo si mescolano. Le merci che affluiscono nei bazar sono recenti, imballate come si trovano in tutti i mercati dell’oriente, dalla Turchia all’India. Tappeti, lenzuoli, stracci: made in China o made in Afghanistan? Una foto e la didascalia sono illuminanti.

A Herat, Broekkamp ha visitato una fabbrica tradizionale che produce piastrelle per le moschee. La richiesta di piastrelle prodotte dalla fabbrica sta diminuendo a causa della concorrenza cinese. Ricorda Broekkamp che siamo in presenza di culture completamente diverse, dove tutti i progressi sono stati bloccati e per le invasioni e guerre, dal 1979 hanno fatto molti passi indietro. Fu l’invasione sovietica a avviare l’ultima fase della tormentata e spesso conflittuale storia dell’Afghanistan. 

Una storia che si dipana su migliaia di anni. Questo è il punto di passaggio dall’Europa e dal Medio Oriente verso l’India e la Cina. Qui era uno snodo importante della via della seta, di qui passarono, installandocisi in parte, gli invasori ariani dell’India, e poi i persiani e poi i greci di Alessandro Magno, i mongoli e gli inglesi. Sulle sue montagne giocò al Grande Gioco fra inglesi e russi e il Kim di Kipling, qui, al Kyber Pass, nel 1842 furono sterminati 16 mila inglesi in ritirata verso il Pakistan. Kyber è un simbolo e anche il nome di un ottimo ristorante a Mumbay. (Fonte: The Daily Mail)

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