Ci sono dei misteri sull’attentato in Congo, che è costato la vita all’ambasciatore Luca Attanasio e al carabiniere Vittorio Iacovacci. L’auto su cui viaggiavano era senza scorta. Non c’erano telecamere di sicurezza. La zona era stata dichiarata “sicura” dalle autorità congolesi. Già, ma come fa a essere sicura un’area in cui i ribelli si manifestano un giorno sì e l’altro pure? Qualcuno ipotizza che siano stati “venduti” dalle autorità ai ribelli. Ma sono solo ipotesi, anzi insinuazioni.
Seconda domanda: come mai hanno tentato di rapire Attanasio e Iacovacci? Chi li ha fermati (e poi uccisi) sapeva chi erano o si erano limitati a prendere “l’uomo bianco“? Anche qua scarico di responsabilità, per ora. I ribelli ruandesi (accusati in un primo momento) hanno negato responsabilità. Eppure c’è stata una sparatoria con i ranger del Parco dei Virunga. Forse loro sanno qualcosa in più.
E poi ancora, c’è un testimone, Rocco Leone. Lui si è salvato, e illeso e ancora sotto choc. Per questo non è stato ancora interrogato. Cosa dirà Rocco Leone? Fornirà elementi utili a dipanare la matassa di questa storia contorta?
Congo, i misteri dell’attentato in cui è morto Luca Attanasio: chi ha detto “strada sicura”?
Il primo mistero, quello che viene istintivo pensare è: perché qualcuno (le non meglio identificate autorità locali) ha detto che quella strada fosse sicura? Tanto che, Iacovacci a parte, Attanasio era sostanzialmente senza scorta. Il Pam (programma di alimentazione mondiale), di cui Attanasio e Leone fanno parte, ha sostenuto che l’attacco “è avvenuto su una strada che era stata precedentemente dichiarata sicura per viaggi senza scorte di sicurezza”.
Dichiarata sicura dal governo, o dalla sua emanazione sul territorio. Invece la polizia ha detto di non essere stata al corrente dello spostamento dell’ambasciatore nell’area. Anzi, le fonti della polizia si sono stupite che si stessero spostando “in una zona così pericolosa”. Questo ha suscitato, all’interno della polizia, “sorpresa e molti interrogativi”.
Congo: perché hanno tentato di rapire Attanasio e Iacovacci?
Le versioni per il momento concordano su un elemento. C’è stato un tentativo di rapimento. L’autista del convoglio, Mustapha Milambo, è stato ucciso subito. Gli altri sono stati portati nella foresta. Poi ci sarebbe stato un conflitto a fuoco tra gli assalitori e i ranger (che erano arrivati nel frattempo). Iacovacci è morto subito. Attanasio è stato gravemente ferito all’ospedale ed è morto in ospedale. Come ha fatto Leone a salvarsi? Lo racconterà, presumibilmente, lui stesso.
Ma perché hanno tentato di rapire gli italiani? Forse è la classica mossa dei ribelli che per finanziarsi tentano di raggranellare denaro. Chi meglio dell’uomo bianco? Sicuramente dietro di lui ci sarà una famiglia danarosa o comunque un governo disposto a trattare. O forse cercavano proprio Attanasio e Leone? Qualcuno ha ipotizzato che le autorità locali abbiano venduto gli italiani ai ribelli. Perché, in fondo, corrompere un funzionario non è proprio impresa epica. Ma rimane la domanda: perché proprio loro?
Congo: chi era responsabile della sicurezza nel Nord Kivu?
Le autorità congolesi erano le uniche responsabili della sicurezza della missione in cui era impegnato l’ambasciatore italiano a Kinshasa, Luca Attanasio. Il diplomatico era partito venerdì scorso per un giro di ispezione delle attività compiute dalle organizzazioni umanitarie nel Paese. Giro che si sarebbe dovuto concludere il 24 febbraio. In particolare Attanasio stava verificando lo stato di attuazione di un programma di school-feeding. Cioè la fornitura di generi alimentari alle scuole della regione. Per questo si trovava nel Nord Kivu.
Ma come funziona la sicurezza in Paesi come la Repubblica democratica del Congo? Si è spesso associata la missione in cui era impegnato l’ambasciatore Attanasio a quella dei caschi blu della Monusco. Ma le due cose vanno tenute ben distinte, dicono i bene informati.
Sebbene la Monusco sia una missione militare Onu con il compito di stabilizzare il Paese, questa non ha competenza sulla sicurezza di missioni di altro tipo, come per l’appunto quelle del Programma alimentare mondiale. La sicurezza del personale del Wfp e delle sue attività ricade sotto la Undss, il Dipartimento di sicurezza e protezione che fornisce servizi professionali di sicurezza e protezione per consentire alle Nazioni Unite di portare avanti i propri programmi a livello globale. L’Undss è guidato dal canadese Gilles Michaud e riferisce direttamente al Segretario generale.
Ogni missione, poi, ha il suo responsabile per la sicurezza che raccoglie informazioni sul campo utili, ad esempio, a conoscere quali aree sono più a rischio, quali strade sono pericolose e dove agiscono gruppi armati o ci sono pericoli per il personale. Ma la responsabilità ultima della sicurezza – come l’assegnazione di scorte armate – spetta alle autorità locali.
Rocco Leone, il testimone dell’attentato in Congo
C’è un testimone dell’attentato. Si chiama Rocco Leone. È vice-direttore del World Food Programme in Congo. Lunedì mattina viaggiava su uno dei due veicoli del convoglio caduto nell’imboscata alle porte di Kibumba. È riuscito a parlare sia con la moglie che con la sorella (che vivono a Firenze). Ma né l’Aise (la nostra intelligence estera), né i carabinieri del Ros sono riusciti a interrogarlo perché “ricoverato in stato di choc in un ospedale di Goma”.
Congo: i Ros inviati dall’Italia per fare chiarezza sui proiettili letali
Sul posto i Ros intendono innanzitutto acquisire informazioni sulle armi in dotazione ai ranger che difendono il parco nazionale di Virunga. Quelli intervenuti subito dopo l’attacco al convoglio del Pam su cui viaggiavano le due vittime italiane e l’autista congolese, Mustapha Milambo, morto per primo nell’imboscata lungo la strada tra Goma e Rutshuru, nella provincia del Nord Kivu, martoriata dalla presenza di milizie etniche, criminali e jihadiste, ma ritenuta percorribile “senza scorta” dalle Nazioni Unite.
Attanasio e Iacovacci, portati nella foresta dai loro sei rapitori, sarebbero stati colpiti nello scontro a fuoco tra i ranger e gli assalitori. I militari italiani vogliono quindi appurare da quali armi siano partiti i proiettili che hanno ucciso. Su questo punto, però, la presidenza congolese non ha dubbi: i due italiani sono entrambi stati uccisi dai loro rapitori, armati di “cinque kalashnikov e un machete”.
Scattato l’allarme subito dopo l’agguato sulla strada, dove l’autista è stato ucciso “per creare il panico” – è la ricostruzione di Kinshasa -, “le ecoguardie (i ranger) e le Forze armate congolesi si sono messe alle calcagna del nemico. A 500 metri, i rapitori hanno tirato da distanza ravvicinata sulla guardia del corpo, deceduta sul posto, e sull’ambasciatore, ferendolo all’addome”. Attanasio è morto “un’ora più tardi all’ospedale della Monusco a Goma”.
Congo: i ribelli si accusano a vicenda
Chiamate in causa dal governo congolese, le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), gruppo ribelle di hutu ruandesi sconfinati dopo il genocidio del 1994, hanno respinto ogni “accusa frettolosa”. Invitando le autorità e la missione Onu a “cercare nei ranghi” degli eserciti congolese e ruandese, uniti a loro dire da “un’alleanza contro natura per perpetrare il saccheggio dell’est della Rdc”, zona ricchissima di risorse naturali e minerarie e terra di conquista dei vari signori della guerra.