Coronavirus, due navi-ospedali a New York e sul Pacifico. Trump ora è in guerra

ROMA – Due navi-ospedale da guerra da impegnare contro il coronavirus. E’ la misura più rappresentativa della radicale svolta nella strategia di ingaggio per contrastare il contagio dell’amministrazione americana.

Una nave sulla West coast, dove l’emergenza è concentrata tra lo stato di Washington e la California. E una nel porto di New York, città sull’orlo del lockdown con 1.339 positivi, oltre la metà dell’intero Stato. Nella Grande Mela arriverà la Usns Comfort, una nave da mille posti letto con sale operatorie. E già usata per altre calamità come a Puerto Rico dopo l’uragano Maria nel 2017.

Modificando toni e tattica, Donald Trump trasforma quella che poteva essere la sua Chernobyl elettorale in un’occasione di rilancio. Presentandosi come un presidente “in tempo di guerra”.

Un commander in chief che parla ogni giorno alla nazione dalla Casa Bianca rassicurandola sul piano sanitario ed economico, mentre Wall Street continua ad affondare e il numero delle vittime diventa un bollettino dal fronte. Almeno 117 morti e oltre 7.000 casi di coronavirus, dopo la brusca impennata nelle ultime 24 ore.

“Siamo in guerra contro un nemico invisibile e vinceremo”, dichiara con cipiglio bellico, dicendosi pronto ad usare “se necessario” anche la Defense Production Act. La legge varata negli anni ’50, cioè, nel conflitto con la Corea e che permette al presidente di potenziare la produzione da parte dell’industria privata di materiale strategico.

Come mascherine e respiratori, che scarseggiano ancora fortemente negli Usa. Tanto che il Pentagono ne ha messi a disposizione rispettivamente 5 milioni e 2.000. C’è anche una “grave carenza” di sangue, di qui l’appello delle autorità sanitarie a donarlo alla Croce Rossa.

In questo clima allarmante, il presidente evoca quindi poteri di guerra e lancia anche qualche missile verbale contro Pechino, denunciando che poteva avvisare dell’epidemia “molto prima”. E ostinandosi a definire il Covid-19 “un virus cinese”. “Non è una definizione razzista, arriva da lì”. Esclusa inoltre una sospensione dei dazi. (fonte Ansa)

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