Dagestan: dove le battute etniche creano la tolleranza

Barzellette di argomento etnico: il politically correct occidentale le ha trasformate in tabù – Nel Dagestan dei mille popoli costretti a convivere sono un antidoto all’intolleranza e favoriscono la convivenza

Magomedkhan M. Magomedkhanov, un etnografo della provincia russa del Dagestan, è stato recentemente invitato all’università di Harvard. Accolto dai suoi distinti colleghi, Magomedkhan è stato ospite per diversi giorni. Come è normale in questi casi, qualche momento di timidezza e di disagio è calato sulla piccola assemblea. Senza perdersi d’animo, per mettere a suo agio i colleghi, l’etnografo ha rispolverato una delle sue barzellette preferite: quella sull’ebreo nella fossa piena di animali. In quel preciso istante il disagio si è trasformato in ostilità.

Questa piccola avventura ha ricordato a Magomedkhanov che non si trovava più nel Dagestan. In questa sperduta provincia affacciata sul Mar Caspio le battute etniche sono un pilastro dell’esistenza. L’equilibrio sottile e millenario di questo angolo di mondo sembra in qualche misura basarsi su questo spirito che l’Occidente ha, almeno ufficialmente, messo al bando in nome del politically correct.

Nel Dagestan vivono all’incirca una dozzina di gruppi etnici formatisi in seguito alle grandi emigrazioni. Fino alla rivoluzione russa la provincia è stata un lembo di terra tagliato fuori dalla storia e collegato a Mosca e ai grandi centri russi solo attraverso sentieri rocciosi. La totale insularità di questa terra ha fatto sì che per secoli le diverse etnie hanno dovuto stabilire dei rapporti tra loro all’insegna della cordialità e della cooperazione. Questa circostanza ha fatto sì che un’effettiva tolleranza si abbia potuto svilupparsi e sia diventata una parte fondamentale dei costumi. Enver F. Kisriev, sociologo all’Accademia Russa per le Scienze, sostiene che « Un russo che vive nella campagna profonda e non ha mai visto una persona caucasica, all’occasione si sorprenderà della diversità. Questo sentimento in Dagestan non esiste, non si è mai sorpresi da come si comportano le persone. »

E così, la gente del Dagestan può raccontarsi barzellette per ore, ritornando sempre sui suoi temi preferiti come la spavalderia degli Avar, il gretto mercantilismo dei Dargin, la pusillanimità dei Lezgin, la scaltrezza dei Lakhs, e così via. Senza contare gli infiniti scherzi sui villaggi della regione.

Due esempi: un Avar sta trasportando un Dargin fuori dal campo di battaglia. Il Dargin supplica l’amico di lasciarlo, altrimenti saranno feriti entrambi. Come ultimo favore, gli chiede di sparargli così non soffrirà. L’Avar, dopo qualche tentennamento, si convince, estrae la sua pistola ma scopre di non avere munizioni. Il Dargin grufola nella sua tasca ed estrae un proiettile. « Fanno 100 rubli » – dice.

Un Avar sta guidando attraverso Makhachkala con un Lakh seduto affianco. Vedendo un semaforo rosso, accelera e lo brucia. « Hai appena preso un semaforo rosso » – dice il Lakh. « Gli Avar non si fermano al semaforo rosso »- dice il Lavar, bruciandone un secondo. Pochi minuti dopo, arrivando davanti ad un semaforo verde, l’Avar si ferma. « Perché ti fermi? » – chiede il Lakh. « Non puoi mai sapere. Un Avar potrebbe star venendo dall’altra direzione ».

Qui barzellette sono in qualche modo il cemento inter-etnico che rende possibile la convivenza dei popoli. L’incapacità di apprezzare gli scherzi etnici è perfino vista come un difetto del carattere. La lezione delle etnie del Dagestan è, nella sua esotica estraneità, comprensibile a tutti, anche a quelli che, come i figli della cultura occidentale, hanno stabilito una cesura netta tra ciò che è comico e ciò che è serio. In fondo già Aristotele lo sapeva: l’uomo è l’unico animale capace di ridere. Meglio approfittarne.

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