Hiiboro Kussala, vescovo della diocesi sudanese di Tombura Yambio, lancia l’allarme: «Il 13 agosto i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parrocchia ed hanno preso tante persone in ostaggio. Mentre fuggivano nella foresta, ne hanno uccise sette: li hanno crocifissi agli alberi».
La dichiarazione shock è arrivata durante il Sinodo per l’Africa in corso in Vaticano. Per il vescovo africano, infatti, le violenze in Sudan non sono assolutamente finita con l’incriminazione, per il genocidio del Darfur, del el presidente Al Bashir decisa dal Tribunale internazionale dell’Aja.
Le violenze continuano, soprattutto lungo l’asse nord sud: nell’area settentrionale del Paese, infatti, vive una maggioranza araba che ha imposto la legge coranica, mentre nel sud la maggioranza è cristiano animista. E, per Kussala, la situazione è drammatica: «Dopo sei secoli, il cristianesimo è stato praticamente distrutto nel Nord del Sudan».
In Sudan, entro il 2010 dovrebbero esserci le elezioni politiche, mentre nel 2011 è in programma il referendum per l’autodeterminazione del Sud. Ma il condizionale è d’obbligo. Per il vescovo, infatti, le tappe di “normalizzazione” del Paese sono messe in pericolo dai «ripetuti attacchi contro i cristiani», violenze «perpetrate da gruppi ribelli legati a Khartoum»: non soltanto «stanno ricevendo aiuti dal governo del Nord», accusa il vescovo, ma «alcuni di loro sono stati istruiti da Al Qaeda in Afghanistan: sono contro la Chiesa, il progetto è intimidire i cristiani».
La crocifissione dei sette parrocchiani, secondo il vescovo non è un fatto isolato: al contrario, «si verificano tanti drammi come questo. Tutti questi gruppi hanno fucili, armi: credo ci sia la volontà di lasciare il Sud Sudan in difficoltà perché non abbia quella pace necessaria per preparare il referendum».
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