ROMA – “Divorziati risposati parte della Chiesa”: il Sinodo tra dogma e misericordia. Che “i divorziati risposati sono parte della Chiesa” è al momento l’unico punto fermo del Sinodo straordinario dei vescovi dedicato alle sfide poste all’istituto della famiglia. Lo afferma nella relazione introduttiva ai lavori promossi da Papa Francesco, il cardinal Peter Erdo, primate d’Ungheria e presidente dei vescovi europei. Il solo affrontare il problema del dogma dell’indissolubilità del matrimonio è visto dalla comunità dei cattolici come un’apertura nei confronti di chi, dopo un divorzio, sente con dolore la sua esclusione dai sacramenti, come l’Eucarestia.
Papa Francesco si è preoccupato di avviare un dibattito che sia il più possibile sincero: ha citato la “parresia” (in greco la libertà d’espressione) come unico vincolo ai vescovi affinché si esprimano il più schiettamente possibile senza temere reazioni o peggio auto-censurandosi per calcolo o scrupolo. Ha offerto la massima collegialità per cui alla fine dei lavori non apporrà il suo sigillo alle decisioni che verranno prese. Perché si affrontano due scuole, due visioni della dottrina, tra chi sostiene l’intangibilità del dogma e chi, anche guardando al numero di divorziati “discriminati” (e allo svuotamento delle chiese), invoca la misericordia della Chiesa.
Il fronte aperturista, diciamo così, può percorrere due strade, il margine di manovra è quello annunciato nella relazione del cardinal Erdo: l’allargamento delle nullità matrimoniali e il modello ortodosso che (dopo un percorso penitenziale ai divorziati) consente nuove unioni (ma non per i gay). Ma che, come vedremo, i divorziati risposati facciano parte della Chiesa è convinzione legittima in punto di dottrina anche per chi si oppone al cambiamento.
Allargamento delle nullità matrimoniali. Bisogna precisare che il matrimonio validamente celebrato non può essere messo in discussione da nessuna autorità terrena, secolare od ecclesiale che sia. Nessun tribunale può sciogliere quello che Dio ha unito. Il tribunale ecclesiastico si occupa solo di verificare la validità dei matrimoni sottoposti ad esame: per esempio, uno dei coniugi aveva un deficit cognitivo, è stato costretto, il matrimonio è simulato, ecc… Ciò che è successo nel matrimonio serve solo a confermare o meno la validità iniziale.
Che significa dunque allargare il campo delle nullità? Per chi si oppone è evidente la sconfessione del dogma che porterebbe a legittimare successive unioni. Non solo nei Vangeli Gesù fa divieto all’uomo di separare ciò che Dio ha unito, ma anche di risposarsi perché è comunque adulterio.
E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola.
Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”. Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Dal Vangelo secondo Marco, 10,2 – 12)
Modello ortodosso. Il rito bizantino riconosce la possibilità di seconde (e terze) nozze. E’ per questo che l’autorevole cardinal Kasper vi fa riferimento per conciliare l’esigenza di non negare ai risposati l’Eucarestia. Tuttavia, è giusto considerare la diversità della dottrina ortodossa. Anche il papa emerito Ratzinger aveva già invitato a non fare confusione.
Le seconde e terze nozze, a differenza del primo matrimonio, sono celebrate tra gli ortodossi con un rito speciale, definito “di tipo penitenziale”. Poiché nel rito delle seconde nozze mancava in antico il momento dell’incoronazione degli sposi – che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del matrimonio – le seconde nozze non sono un vero sacramento, ma, per usare la terminologia latina, un “sacramentale”, che consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente accettata dalla comunità ecclesiale. Il rito delle seconde nozze si applica anche nel caso di sposi rimasti vedovi. (Nicola Bux, da “Chiesa ortodossa e seconde nozze”)
Proprio in relazione alla Comunione, Ratzinger esprimeva il suo rammarico pastorale per l’opinione diffusa tra chierici e fedeli secondo cui la celebrazione eucaristica fosse priva di significato per chi non si comunica. Cioè, sostiene Ratzinger,
Siccome l’eucaristia non è un convito rituale, ma la preghiera comunitaria della Chiesa, in cui il Signore prega con noi e a noi si partecipa, essa rimane preziosa e grande, un vero dono, anche se non possiamo comunicarci. Se riacquistassimo una conoscenza migliore di questo fatto e rivedessimo così l’eucaristia stessa in modo più corretto,vari problemi pastorali, come per esempio quello della posizione dei divorziati risposati, perderebbero automaticamente molto del loro peso opprimente. (Papa Emerito Joseph Ratzinger)
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