Eataly lascia la Russia, lo store di Mosca sarà chiuso. E sulla crisi del grano parla Farinetti: “Non cambierà le nostre abitudini alimentari”

Anche Eataly lascia la Russia. Secondo quanto apprende l’Ansa, ha chiuso l’accordo di franchising per il negozio di Eataly Mosca, unico punto vendita in Russia, aperto il 26 maggio 2017 nel centro commerciale Kievsky, con la gestione di partner locale.

Sui mercati esteri Eataly è presente in 14 Paesi. Dal quartier generale trapela preoccupazione per l’evoluzione della guerra in Ucraina, e si spera nel prevalere di una risoluzione diplomatica. C’è vicinanza al dolore delle popolazioni colpite. In questi giorni, rende noto Eataly, “attraverso i nostri negozi e le associazioni partner supportiamo donazione di prodotti alimentari”. 

Eataly, Farinetti: “La crisi del grano non cambierà le nostre abitudini alimentari”

Pochi giorni fa a parlare della crisi provocata dalla guerra in Ucraina, in particolare quella del prezzo del grano, era stato il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti. “L’aumento del prezzo del grano è dovuto a due fattori”, dice Farinetti. “Il primo è che ci sono state delle stagioni negative, una raccolta scarsa mentre magari la prossima sarà altissima e quindi si riequilibrerà, il secondo per la questione della guerra che in questo momento impedisce un’esportazione di grano da Russia e Ucraina. Il grano è la cosa più buona del mondo perché con il grano si fa il pane, la pasta, si fanno i cibi a base di carboidrati che, secondo me, sono insostituibili”.

Sulla possibilità che le scorte di grano possano finire, Farinetti dice: “Nel mondo si produce una quantità di grano sufficiente per nutrire tutto il mondo. Si producono 800 milioni di tonnellate di grano, suddivise in 750 milioni circa di grano tenero, quello che serve per il pane o la pizza, e una cinquantina di milioni di grano duro che serve più che altro per fare la pasta. Capitano poi delle stagioni in cui, come le ultime, c’è un raccolto scarso, e a quel punto si va un po’ in crisi. Oppure capitano delle situazioni mondiali, lo è la guerra, in cui Stati come la Russia e l’Ucraina, che ne producono in quantità notevoli, anche se non sono in assoluto in numeri uno, riducono le esportazioni. Intanto bisogna precisare che stiano parlando di grano tenero, perché tutti fanno una confusione clamorosa tra tenero e duro e parlano solo di grano mentre corre la stessa differenza che corre tra una bicicletta e una macchina da corsa”.

Grano, quanto se ne produce al mondo?

Poi, sulla suddivisione della produzione mondiale: “Ucraina e Russia sono tra i più grandi produttori al mondo di grano tenero, ma per esempio la Francia è un altro grande produttore di grano tenero mentre noi italiani siamo dei piccolissimi produttori: produciamo 3 milioni di tonnellate, quindi pochissimo, sui 750 milioni che si fanno in tutto il mondo. Mentre invece siamo tra i principali, in certi anni anche i numeri uno al mondo, produttori di grano duro. Per esempio ne produciamo 4 milioni di tonnellate su 36 milioni che è stata l’ultima a produzione mondiale. Ci siamo noi, il Canada, gli Stati Uniti d’America e adesso sta entrando anche l’Australia”.

Una corsa ai prezzi che, si teme, avrà ricadute sui consumi: “Dobbiamo stare sereni e tranquilli e dobbiamo aspettare tempi migliori dove i prezzi torneranno ad essere più calmierati. Bisogna sì avere paura, ma non andare nel panico. Il grano non è sostituibile. Ad esempio, giorni fa i miei amici americani mi dicevano che stiamo spingendo molto gli gnocchi di patate negli Usa, perché la patata paradossalmente costa meno della semola, che è – lo ricordo – grano duro macinato mentre quello tenero macinato diventa farina e si usa per fare il pane. Noi produciamo poco grano tenero perché non abbiamo la cultura del pane, l’Italia non ha una sua propria cultura del pane, sono molto più bravi gli altri paesi europei, come la Francia, specie la mitteleuropa. Noi, invece, siamo cultori della pasta e della pizza, quindi abbiamo bisogno di un sacco di grano tenero per far la pizza e il pane mentre produciamo una buona quantità di grano duro che in certi anni potrebbe anche bastarci ma mediamente un 25-30% bisognerebbe importarlo”.

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