IL CAIRO – Due anni di reclusione ed una ammenda di 500 lire egiziane (55 euro circa): basta questo, in Egitto, per chiudere i conti con la giustizia se si viene ritenuti responsabili della morte di una bambina. Una bambina di 13 anni anni morta durante l’infibulazione, ossia la circoncisione femminile formalmente vietata in Egitto ma in realtà ampiamente praticata.
Il medico era accusato di aver provocato per errore l’anno scorso la morte di Soheier Al Bataa somministrandole un’iniezione di pennicillina durante un intervento di mutilazione genitale, vietato dalla legge. Il padre, anch’egli accusato per l’episodio, è stato condannato a tre mesi di reclusione, con la sospensione della pena. Il medico è stato ritenuto responsabile di non aver sottoposto a test preliminari la bambina prima di farle l’iniezione e di aver esercitato in un centro chirurgico non autorizzato, che è stato chiuso, oltre che della violazione della legge del 2008 che vieta le mutilazioni genitali femminili.
Il 20 novembre, in primo grado, il medico era stato assolto, così come il padre della bambina. Le mutilazioni di vario tipo, nonostante la legge, costituiscono ancora un’usanza molto diffusa in Egitto, che colpisce – secondo dati internazionali – il 91 per cento delle donne egiziane tra i 15 ed i 49 anni di età, sia musulmane che cristiane. ”Oggi è stata la prima volta – ha sottolineato l’avvocato Mostafa Ghanoum, che rappresentava il progetto Fgm (Mutilazioni genitali femminili del Consiglio Nazionale della Popolazione)- che una corte egiziana ha dato testimonianza di due processi in appello in un caso di mutilazioni genitali”.