IL CAIRO – Egitto: le autorità, polizia e magistrati, hanno allestito una gigantesca messa in scena per “spiegare” la morte di Giulio Regeni. Ci sono 5 criminali, che tra l’altro facevano sequestri di persona. Vengono uccisi in imprecisate circostanze, ci sono quindi anche i cadaveri che, cosa che non guasta, non parlano. Si fa sapere che questa banda di sequestratori, quando sequestrava, indossava divise della polizia, il che è perfetto per spiegare come qualcuno abbia potuto vedere la mano dello Stato dietro il rapimento di Regeni: erano travestiti…
Ci sono le testimonianze dei parenti dei criminali morti. “Torturavamo Regeni perché si è opposto alla rapina”. Non è difficile convincere parenti di criminali morti con buoni argomenti magari anche sonanti.
La messa in scena quindi ha i sequestratori, il camuffamento delle divise, i morti, i testimoni, e la chiara volontà di dare all’Italia qualcosa per “accontentarla”.
Però la cosa, anche se mostra una sorta di buona volontà, non sta in piedi. Il corpo di Giulio Regeni ha parlato: è stato torturato per giorni. E il metodo di quella tortura racconta di interrogatori a più riprese fatti per estorcere chissà quali informazioni, non certo di colpi inflitti da criminali comuni per rubare soldi. Quali soldi, poi? Quali oggetti preziosi e quali contanti poteva mai custodire questo ragazzo che, stando alle testimonianze egiziane, avrebbe resistito pur di non consegnare ciò che i suoi aguzzini volevano? A Giulio sono state strappate le unghie, è stato torturato con scosse elettrice ai genitali, gli sono state spente sigarette sulle braccia. Non sono questi metodi da rapina, nemmeno se fossimo in presenza di sadici macellai. Una verità, quella messa in piedi dall’Egitto, che l’Italia non accoglie. “Il caso non è affatto chiuso”, chiosano dalla procura di Roma.