Enmi, agenzia segreta Isis che pianifica attentati all’estero

di redazione Blitz
Pubblicato il 5 Agosto 2016 - 07:45 OLTRE 6 MESI FA
Enmi, agenzia segreta Isis che pianifica attentati all'estero

Harry Sarfo, jihadista pentito racconta come Isis organizza attentati all’estero

LONDRA – Harry Sarfo, un cittadino tedesco che si è allontanato definitivamente dallo Stato Islamico ed è tornato in Germania dove è stato arrestato, in un’intervista rilasciata al New York Times, parla di “Enmi” l’agenzia potente e organizzata, che pianifica gli attentati Isis all’estero.

Credendo di rispondere a una “chiamata santa”, lo scorso anno Harry Sarfo ha lasciato la sua casa di Brema e ha guidato per quattro giorni consecutivi per raggiungere i territori della Siria controllati dallo Stato Islamico. Ebbe appena il tempo di sistemarsi, prima che alcuni membri del servizio segreto dell’Isis, che indossavano delle maschere, arrivassero per informare lui, e il suo amico tedesco, che non volevano più europei in Siria. Gli europei dovevano rimanere nelle loro città, per aiutare a portare avanti il piano di espandere il terrorismo in tutto il mondo.

“Parlavano apertamente della situazione, dicevano che ci sono parecchie persone residenti in Europa che sono solo in attesa di un comando per attaccare gli europei”, raccontava Sarfo dalla prigione di massima sicurezza di Brema. “Tutto ciò accadde prima degli attacchi di Bruxelles e Parigi”.

L’uomo dal volto coperto gli spiegò che, nonostante il gruppo terroristico fosse già ben radicato in alcuni paesi europei, necessitava di più attentatori in Germania e Inghilterra. “Ti dispiacerebbe tornare in Germania? Perché in questo momento ci serviresti lì”, ricorda Sarfo. “Ripetevano che avevano bisogno di persone che potessero realizzare più attentati nello stesso momento, in Inghilterra, Germania e Francia”.

Gli attacchi del 13 novembre a Parigi, portarono all’attenzione globale l’estesa rete terroristica ormai insidiatasi a livello mondiale, che cominciò due anni fa con l’invio di combattenti all’estero. Ciò che viene descritto è una rete di servizi segreti a più livelli, sotto il comando generale del più alto capo siriano, portavoce e capo della propaganda jihadista, Abu Muhammad al-Adnani.

Sotto di lui si ramifica una rete di luogotenenti abilitati a pianificare attacchi in diverse parti del mondo, incluso un “servizio segreto per gli affari europei, asiatici ed arabi”. Attraverso il ruolo di coordinamento svolto da Adnani, la pianificazione del terrore è andata di pari passo con le vaste operazioni di propaganda del gruppo, tra cui, come sostiene Sarfo, degli incontri mensili dove Adnani sceglie quali video raccapriccianti diffondere, che promuovano al meglio le battaglie portate avanti.

Il primo porto di scalo per i nuovi arrivati nello Stato Islamico è una rete di dormitori in Siria, appena oltre il confine con la  Turchia. Lì, le reclute vengono intervistate e registrate. Sarfo ha rilasciato le proprie impronte digitali ed un medico ha controllato lo stato di buona salute e prelevato un campione di sangue. Un uomo al computer lo ha interrogato. “Come ti chiami? Qual è il tuo secondo nome? Chi è tua madre? Di dove è originaria? Cosa hai studiato? Qual è la tua ambizione?”.

Sarfo frequentava con regolarità una moschea radicale a Brema, che aveva già inviato circa 20 membri in Siria, almeno  quattro morti in battaglia. Aveva scontato una pena detentiva di un anno per aver scassinato la cassetta di un supermercato e preso 23 mila euro.
Nonostante nelle aree sotto il controllo dello Stato islamico la punizione per il furto sia l’amputazione, un passato criminale può essere un bene prezioso, “soprattutto se sanno che hai legami con il crimine organizzato o che puoi ottenere dei documenti falsi, o che hai dei contatti in Europa”.

Sarfo corrispondeva a tutti i criteri per diventare un combattente, ma quando disse di voler combattere in Siria e Iraq, gli risposero che c’era un problema. “Mi dissero che in Germania non ci sono molte persone disposte a fare questo lavoro” ha rivelato, poco dopo il suo arresto, in un interrogatorio che include più di 500 pagine. “Dissero che all’inizio ne avevano reclutati alcuni, ma uno dopo l’altro si sono allontanati per paura. E lo stesso per l’Inghilterra”.

Al contrario, il gruppo ha un gran numero di volontari in Francia. “Il mio amico gli chiese se poteva andare in Francia, loro cominciarono a ridere. Risero davvero, con le lacrime agli occhi. Gli dissero di non preoccuparsi della Francia, Mafi mushkila, che in arabo significa non c’è problema”.

Altri interrogatori, così come il racconto di Sarfo, hanno portato gli investigatori alla conclusione che la Emni, “agenzia” che recluta i guerrieri capeggiata da Adnani, ha allenato e inviato l’uomo che ha aperto il fuoco su una spiaggia a Sousse, Tunisia, e quello che ha fatto esplodere le bombe all’aeroporto di Bruxelles.

Interagendo con l’Emni, Sarfo ha realizzato che stavano preparando un portfolio globale di terroristi per tappare i buchi laddove non fossero presenti nella fitta rete internazionale. Lo stesso Sarfo ha descritto la volontà del gruppo di costruire un’infrastruttura in Bangladesh, dove vennero uccise almeno 20 persone, la maggior parte turisti.

Per le reclute asiatiche, invece, Sarfo spiega che il gruppo cercava persone già emerse grazie alla rete di Al Qaeda nella regione. “In Bangladesh, Malesia e Indonesia ci sono persone che hanno già avuto a che fare con Al Qaeda. Quando si uniscono allo Stato islamico, gli viene chiesto il grado di esperienza e se hanno contatti”. Sarfo ha spiegato che la Emni mantiene al coperto molti dei suoi operatori in Europa, mentre per l’America è diverso. “Dozzine di americani sono membri dello Stato Islamico, ma la situazione lì si complica perché è difficile far rientrare un americano negli USA, dopo che è stato in Siria”.

Sarfo afferma che americani e canadesi sono più facili da raggiungere attraverso i social networks, perché “dicono che gli americani sono scemi, hanno la politica delle armi libere. Affermano di riuscire a radicalizzarli con più facilità e, a meno che non abbiano reati precedenti, possono comprare liberamente delle armi, quindi non necessitano di un tramite che debba fornirgli delle armi”.

Dalla fine del 2014, lo Stato Islamico ha istruito gli stranieri, che volevano unirsi al gruppo, a far sembrare il loro viaggio una vacanza nel sud della Turchia. Viene loro prenotato un volo di ritorno e fornita una vacanza all-inclusive in un resort sulla spiaggia, dalla quale i contrabbandieri organizzano poi il trasporto in Siria.

Questo tipo di copertura, però, crea molta pressione e fa sì che le cose debbano essere fatte in fretta, richiedendo quindi un addestramento molto breve, come racconta Sarfo. “A volte bastano un paio di giorni di pratica per fargli imparare le regole base su come maneggiare delle armi”.

Sarfo, insieme al suo amico tedesco, venne portato nel deserto fuori Raqqa. “Ci misero insieme ad altri cinque. Era proibito lavarsi, mangiare cose al di fuori di quelle che venivano fornite da loro. Anche l’acqua era razionata. Ognuno riceveva due bicchieri d’acqua al giorno. Volevano testarci, vedere chi era davvero disposto a farlo, chi era deciso”. L’allenamento consisteva anche in ore di corsa, salti, addominali.  La punizione per chi falliva era dura. “C’era un ragazzo che si rifiutò di alzarsi, era esausto. Lo legarono a un palo e lo lasciarono lì per giorni”.

Il programma delle forze speciali include 10 livelli di addestramento. Dopo aver passato il secondo, Sarfo fu portato a Tabqa, in Siria, dove dovette mostrare di saper nuotare, fare immersioni e orientarsi con l’aiuto delle stelle. Dopo aver superato i 10 livelli, le reclute vengono portate bendate da Adnani in persona, al quale richiedono direttamente un’alleanza. Nessuno sa che aspetto abbia, perché restano bendati per tutto il tempo.

Su Adnani, che si dice abbia 39 anni e sia nato in Siria, pende una taglia da 5 milioni di dollari. Sarfo ha raccontato di aver capito che voleva abbandonare l’Isis mentre affrontava l’allenamento, dopo aver visto come trattavano crudelmente coloro che non ce la facevano. Anche i video di propaganda, gli stessi che dalla Germania lo avevano attirato fino al deserto, gli fecero capire che le cose erano ben diverse dalla realtà. Ogni video veniva riprovato decine di volte, messo in scena come un vero e proprio film.

Iniziò così a tramare le propria fuga, impiegando alcune settimane prima di riuscire ad arrivare in Turchia. Venne arrestato all’aeroporto di Brema e decise di confessare volontariamente. Unico disposto a parlare ai giornali, adesso sta scontando una pena di tre anni con l’accusa di terrorismo.