Ondata di esplosioni, l’Iraq paga la vendetta di Al Qaeda

Autobombe e ordigni artigianali, Al Qaeda ha scelto di vendicare così l’uccisione dei suoi militanti, anche se non ha rivendicato ufficialmente. Esplosioni a raffica hanno paralizzato la capitale irachena Baghdad e Khalidiya, un piccolo centro nella provincia di al Anbar. L’ondata di bombe fatali ha ucciso 67 persone e ne ha ferite almeno 180 per un bilancio di vittime che ricorda agli iracheni i bollettini da guerra.

Mentre il Paese sta cercando di superare l’impasse politica e va verso il riconteggio di voti dopo le ultime elezioni, luoghi affollati e moschee ritornano nel mirino dei terroristi. L’attacco più pesante è stato messo a segno a Sadr City, il quartiere sciita della capitale, dove due macchine imbottite di esplosivo sono scoppiate davanti alla sede del partito del leader sciita Moqtada Sadr.

Quasi in contemporanea due autobombe e un ordigno hanno seminato il panico davanti a tre moschee: quella di Abdel Hadi Chalabi,  nel quartiere settentrionale Hurriya; quella di Mohsen al Hakim, ad al-Amine, nella parte orientale della città, e quella di al Sadrein a Zafaraniya, in centro.

Nel quartiere di Dora tre esplosioni hanno sconvolto un mercato popolare in centro. Nella città di Khalidiya, 85 chilometri ad Ovest di Baghdad, nella provincia sunnita di al Anbar, sono state piazzate sei bombe con lo scopo di colpire un giudice istruttore antiterrorismo, e dei funzionari di polizia. Il giudice è rimasto illeso, ma un commissario e sei membri della sua famiglia sono morti sotto le macerie della loro casa, e una decina di altre persone sono rimaste ferite.

La ripicca dei miliziani si è consumata a cinque giorni di distanza da un’operazione Usa-Iraq in cui erano stati ammazzati i leader dell’internazionale del terrore e a due dalla cattura di altri 300 uomini: dall’Emiro dello Stato islamico in Iraq, Abu Omar al Baghdadi, al capo iracheno di Al Qaeda, Abu Ayub al Masri salito ai vertici dopo l’omicidio di Abu Mussab al Zarqawi nel 2006.

Per la polizia irachena è stata la mano dei terroristi di Osama Bin Laden a fare tremare ancora le strade di Bagdhdad. «Si tratta di una vendetta di al Qaida per le perdite che ha subito», ha detto il generale Qassim Atta. Le nuove sfide del governo iracheno, dall’ordine istituzionale ai diritti umani, con in testa l’idea di smantellare la leadership terrorista nel Paese stanno creando di fatto ancora più disordine.

C’è anche chi insinua che le mele marce che minano il cammino di Baghdad verso una maggiore sicurezza si nascondono proprio negli ambienti istituzionali. E se la gente lamenta ai giornalisti stranieri la  mancanza dell’aiuto dei potenti nella risoluzione del conflitto sunniti-sciiti e nella ricerca di una maggiore stabilità, nei palazzi della politica aumenta il sospetto che fra le intenzioni di chi ha provocato le esplosioni ci fosse l’idea di screditare il governo di Nuri-Kamal al Maliki.

Dalle macerie però tra le lacrime e il dolore si leva un sussurro di delusione: «I politici sono impegnati a formare il governo e già si sono dimenticati di noi», è la voce di Mahdi Ahmed, un iracheno qualunque, che ringrazia di non essere morto.

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