Everest: due ore di coda per salire in cima, ingorghi fanno 10 morti

Everest: due ore di coda per salire in cima, ingorghi peggio della città
Everest: due ore di coda per salire in cima, ingorghi peggio della città

ROMA – Salire in cima all’Everest? Ingorghi peggio della città, ritardi e gente in coda fino a due ore. La foto parla chiaro, 300 persone in fila per raggiungere la cima. Succede proprio sull’Everest (8.848 metri), preso d’assalto da alpinisti e sherpa. Con una cima “affollata” si rischiano più incidenti dovuti all’inesperienza degli scalatori, le cui bombole di ossigeno, indispensabili a quelle altezze, si consumano nell’attesa di tentare la scalata. E infatti in totale a causa dell’affollamento ci sono stati 10 morti in una settimana. 

Il capo dell’ufficio del turismo nepalese Danduraj Ghimire ha definito “senza senso” le voci secondo le quali tra le cause di morte degli scalatori potrebbe esserci il sovraffollamento della cima e i tempi lunghissimi, fino a due ore di coda, per raggiungere la vetta.

Tuttavia secondo gli esperti l’ipotesi non è del tutto infondata tanto più che il mal di montagna è già la prima causa di morte. Ad un’altezza di 8.848, infatti, ogni respiro contiene un terzo dell’ossigeno rispetto a quello che si trova al livello del mare. Il corpo umano, inoltre, si deteriora più rapidamente e può sopravvivere a quelle altitudini solo pochi minuti. Nella foto diventata ormai diventata famosa si vedono circa 320 persone presenti contemporaneamente in un punto noto, secondo l’autore dello scatto, come “la zona della morte”. L’ultima vittima, ieri, l’americano Donald Cash, 55 anni, che aveva lasciato il suo lavoro di manager per realizzare il sogno di scalare le sette cime, le montagne più alte in ciascun continente. Nell’ultimo messaggio mandato ad uno dei suoi quattro figli prima di sentirsi male aveva scritto: “Mi sento così fortunato ad essere sulla montagna che ho sognato per 40 anni”.

Come se non bastasse, il governo nepalese e le compagnie di assicurazione di trekking stanno indagando su un gigantesco giro di truffe in cui alcuni operatori turistici del monte Everest, le guide, le società di elicotteri, gli ospedali stanno intascando illecitamente ingenti rimborsi con le compagnie assicurative: incoraggiano evacuazioni non necessarie, esagerano i sintomi, in poche parole organizzano delle false operazioni di salvataggio, il tutto per milioni di dollari.

Geoffrey Chang, un trekker australiano ha raccontato la sua esperienza: diretto al campo base dell’ Everest, si era svegliato con un dolore al torace e la guida nepalese lo aveva spinto a chiedere l’evacuazione con l’elicottero sostenendo che si trattava di una forma grave di Male Acuto di Montagna, scrive The New York Times.

Ma secondo quanto affermato da Chang, la mattina dopo si sentiva meglio, i livelli di ossigeno erano tornati a livelli accettabili. Michelle Tjondro, sua compagna di viaggio aveva chiesto alla guida se quel giorno potevano semplicemente riposare o raggiungere le altre persone che avevano sintomi analoghi.

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