L’Everest ha restituito mercoledì i corpi di cinque alpinisti morti durante la scalata alla vetta più alta del mondo. Sono stati i partecipanti a un’operazione di raccolta dei rifiuti, cominciata in aprile, a individuare i resti nella ‘zona della morte’, quella fascia al di là degli 8.000 metri dove l’ossigeno nell’aria è un terzo di quello presente a livello del mare.
Il coordinatore dell’operazione Chakra Karki ha annunciato che tra i corpi c’è quello dell’americano Scott Fischer, morto il 10 maggio 1996 in una delle giornate più nere per l’alpinismo sull’Everest: una tormenta si abbatté su diverse cordate con un bilancio di otto morti. “Abbiamo trovato il corpo di Fischer e abbiamo scattato foto, ma non lo abbiamo toccato – ha detto Karki – La famiglia non ci ha autorizzato a spostarlo e rispettiamo la loro decisione”. La squadra ha già recuperato il corpo di due alpinisti, lo svizzero Gianni Goltz, morto nel 2008 e il russo Serghiei Duganov, scomparso quest’anno.
Dal 1953 circa 300 persone sono morte sulle pendici dell’Everest. Molti resti sono stati riportati a valle, ma quelli che si trovano al di sopra degli 8.000 metri in genere sono lasciati in quota. Nella raccolta di rifiuti abbandonati dalle tante spedizioni che si susseguono lungo le pareti dell’Everest (8.850 metri) sono impegnati venti sherpa.
Finora non è stata comunicata la quantità complessiva di rifiuti recuperati, ma 50 anni di spedizioni hanno fatto meritare all’Everest il soprannome di discarica più alta del mondo. L’obiettivo è comunque quello di riportare al campo base almeno tre tonnellate di rifiuti per il 29 maggio, data dell’anniversario della conquista dell’Everest da parte di Tenzing Norgay e Edmund Hillary nel 1953.
“Senza una stretta regolamentazione sui rifiuti in montagna le campagne come la nostra non avranno effetto”, ha aggiunto l’organizzatore. I membri delle spedizioni devono versare una cauzione di 4.000 dollari che viene loro restituita se al ritorno provano di aver riportato indietro tutto quello con cui erano partiti. Ma secondo i responsabili nepalesi queste regole sono di difficile applicazione. Un responsabile del ministero del turismo nepalese ha ammesso che le capacità di controllo delle autorità sono molto scarse e che sono tante le lamentele per i rifiuti abbandonati lungo le vie più battute, dalle scatole, alle bottiglie, alle batterie usate.