WASHINGTON – Usare Facebook al lavoro può costare caro: se il titolare chiede di controllare il profilo del dipendente, di leggere i suoi post il rischio è ritrovarsi costretti a dirgli di sì. La materia è delicata e ancora in via di definizione. A luglio negli Stati Uniti si era tentato di dare una prima regolamentazione con una legge varata in California. In quel caso si era stabilito che il datore di lavoro o il preside di una scuola o università non aveva il diritto di accedere ai profili sui social network dell’esaminando o del lavoratore.
In Italia ancora non c’è una legislazione ad hoc. Lo Statuto dei lavoratori (1970) vieta “l’uso di impianti audiovisivi e altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”. Ma si aspetta una legge specifica.
Adesso, però, anche negli Stati Uniti è arrivato un emendamento dello Stato di Washington alla nuova legge sulla tutela dei dati personali sul luogo di lavoro consente al capo di chiedere ai propri dipendenti le password dei loro profili Facebook o Twitter.
Solo che lo stesso emendamento non chiarisce quando l’indagine interna può prevedere i controlli sui social network. Per la Electronic Frontier Foundation (EFF), organizzazione che difende i diritti dei cittadini e degli internauti, l’invasione della privacy sui profili dei social network equivale ad una violazione delle “residenze digitali”.
In California i lavoratori sono più tutelati: in caso di indagine interna il datore di lavoro può chiedere la password al dipendente ma non imporre che gli sia data.
I commenti sono chiusi.