ROMA – Un deficit di dati. Brutale a dirsi ma il cooperante italiano Giovanni Lo Porto è morto in Pakistan per questo motivo. Gli Stati Uniti non sapevano che nella zona target da bombardare con i droni ci fossero anche degli ostaggi.
Il giorno dopo la diffusione dell’informazione della morte di Lo Porto e dell’altro ostaggio Warren Weinstein (avvenute in realtà tre mesi fa) è il giorno in cui si interroga, al di là delle scuse del presidente Barack Obama, su che cosa non abbia funzionato in quella operazione militare.
Il punto, come spiega per il Corriere della Sera Guido Olimpio, è che per individuare gli obiettivi da colpire l’intelligence Usa si serve di fonti locali. Fonti che offrono spesso informazioni parziali quando non del tutto sbagliate. L’attacco con i droni, comandati a distanza e senza un pilota, fa il resto. E così quella che nelle intenzioni è un’operazione contro terroristi o obiettivi militari diventa un’azione che coinvolge e uccide ostaggi e/o civili. Non è la prima volta e nulla lascia sperare che sarà l’ultima: è successo in diverse occasioni tra Afghanistan, Pakistan e Yemen.
E poi, come sottolinea Olimpio, c’è la responsabilità della Casa Bianca. La responsabilità di chi decide di autorizzare comunque un’azione militare anche quando non si hanno a disposizione tutte le informazioni che servirebbero. Scrive Olimpio:
In Paesi difficili come lo Yemen e il Pakistan condurre attacchi aerei (con caccia o droni) non è agevole. Perché l’ intelligence può essere scarsa o poggiarsi su fonti non sempre accurate. Infiltrare agenti americani è quasi impossibile, dunque la Cia e il Pentagono contano sugli alleati. Servizi di Paesi amici o collaboratori reclutati tra i locali. A volte le dritte dal campo non sono così sicure e le verifiche a volte quasi impossibili. Nel dubbio sarebbe meglio astenersi dal lanciare l’attacco.
Ma le guerre non si vincono “astenendosi dall’attacco”. Un dilemma, almeno apparentemente, senza soluzione.