Giulio Regeni, New York Times: “Governo Obama diede a Renzi le prove sui colpevoli”

Giulio Regeni, New York Times: " Obama diede a Renzi le prove sui colpevoli"
Giulio regeni (Ansa)

NEW YORK – L’Amministrazione Obama era in possesso di “prove esplosive” sulle responsabilità di alcuni “alti papaveri” egiziani nella morte di Giulio Regeni, e questo portò  ad un più che burrascoso colloquio tra l’allora segretario di Stato John Kerry e l’omologo egiziano Sameh Shoukry.

Lo scrive il New York Times in un lungo articolo dedicato al caso del giovane ricercatore italiano ucciso in Egitto nel 2016 in circostanze ancora tutte da chiarire. “Nelle settimane successive alla morte di Regeni”, scrive il quotidiano in un reportage dal Cairo intitolato “Gli strani garbugli nel caso della scomparsa al Cairo di Giulio Regeni”, “gli Stati Uniti vennero in possesso dall’Egitto di prove di intelligence esplosive, prove che dimostravano come Regeni fosse stato rapito, torturato e ucciso da elementi della sicurezza egiziana”.

Fonti dell’allora Amministrazione Obama citate dal giornale affermano che “si era in possesso di prove incontrovertibili delle responsabilità egiziane”. A questo punto il materiale venne girato “al governo Renzi su raccomandazione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca”. Ma “per evitare di svelare l’identita’ della fonte non furono passate le prove cosi’ come erano, ne’ fu detto quale degli apparati di sicurezza egiziani si riteneva fosse dietro l’omicidio” Altre fonti sempre citate dal New York Times affermano: “Non e’ chiaro chi avesse dato l’ordine di rapire e, presumibilmente, quello di uccidere” Regeni, ma “quello che gli americani sapevano per certo, e fu detto agli italiani, e’ che la leadership egiziana era pienamente a conoscenza delle circostanze dell’uccisione” del ricercatore.

Di più’: “Non abbiamo dubbi di sorta sul fatto che questo fosse conosciuto anche dai massimi livelli”. Insomma, non sapevamo se fosse loro la responsabilita’, ma sapevano, sapevano”. Questo portò alcune settimane dopo “l’allora segretario di Stato, John Kerry, ad un aspro confronto con il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, nel corso di un incontro che si tenne a Washington”. Si trattò di una conversazione “quantomai burrascosa” anche se da parte della delegazione americana non si riuscì a capire se il ministro stesse erigendo un muro di gomma o semplicemente non conoscesse la verità”. Un approccio brutale, quello di Kerry, “che provocò più di un’alzata di sopracciglio” all’interno della Amministrazione, dal momento che Kerry “aveva la fama di trattare l’Egitto con i guanti bianchi”.

Nel frattempo i sette magistrati italiani inviati al Cairo “venivano depistati” e lo steso ambasciatore italiano Massari “presto smise di usare le email e il telefono per le comunicazioni delicate, ricorrendo ad una vecchia macchina che scriveva su carta sulla base di un codice criptato”. Anche perché “si temeva che gli egiziani impiegati presso la sede diplomatica italiana passassero informazioni alle agenzie di sicurezza egiziane.”

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