IL CAIRO – Giulio Regeni non è stato ucciso in una rapina finita male, si tratta di “una oltraggiosa messa in scena”, tuonano i genitori e l‘Italia ferita due volte. Tutto ha l’aria di un grande falso, con i 5 asseriti rapitori assassini che nel frattempo sono morti anche loro, togliendo l’incomodo e evidando imbarazzanti controlli.
Sembra una messinscena ad uso degli italiani, che gli egiziano pensano con l’anello al naso. La presa in giro è clamorosa.
Secondo l’Egitto, Regeni è stato vittima di una rapina e la polizia del Cairo sventola i 5 sequestratori e presunti killer del giovane italiano, morti e quindi non più in grado di confermare o smentire. Secondo gli egiziani, Giulio Regeni è stato sequestrato a Il Cairo da persone vestite da agenti di polizia, poi portato in un luogo segreto e torturato: unghie strappate, sigarette spente sul corpo e scosse elettriche ai genitali per farlo parlare. Impossibile che dei semplici rapinatori abbiano usato tanta violenza.
Il ministero dell’Interno egiziano mostra i killer e mostra quelle che loro chiamano “prove”. Il passaporto di Giulio Regeni, il suo badge dell’università americana del Cairo e di quella di Cambridge, la carta di credito, i telefonini e un borsone. Tutti oggetti ritrovati nell’ipotetico covo dei killer. Anche se il caso al Cairo non è stato dichiarato formalmente risolto, il rilancio della pista ‘criminale’ al posto di quella degli apparati di sicurezza deviati è stato accolto da tutti in Italia come un potenziale nuovo depistaggio. E tutti chiedono una prosecuzione delle indagini.
“Il caso non è affatto chiuso, non c’è alcun elemento certo che confermi che siano stati loro”, dicono gli inquirenti in Italia. Il Messaggero Veneto scrive che le incongruenze nella ricostruzione del Cairo sono almeno tre:
“Il primo dubbio è legato proprio al ritrovamento dei documenti di Regeni: non è credibile, sottolineano fonti qualificate, che una banda di sequestratori e rapinatori abbia conservato per mesi passaporto e telefoni, con il rischio concreto di essere scoperti. Chiunque se ne sarebbe liberato all’istante. Il sospetto, dunque, è che quei documenti siano stati conservati da qualcun altro per poi farli saltare fuori al momento opportuno.
Un altro punto che lascia molti dubbi è legato alle sevizie riscontrate sul corpo di Giulio e confermate anche dall’autopsia egiziana consegnata agli inquirenti italiani: perché una banda che aveva come unico obiettivo quello di rapinare Regeni lo avrebbe torturato per almeno una settimana?
E, intanto, esplode la rabbia dei genitori del giovane ricercatore, che si dicono feriti e amareggiati “dall’ennesimo tentativo di depistaggio da parte delle autorità de Il Cairo sulla barbara uccisione di nostro figlio. Il governo italiano – affermano – reagisca a questa messa in scena”.
Continuando sul filone delle indagini, non è credibile, secondo le nostre autorità, la vicenda del conflitto a fuoco in cui sono morti tutti coloro che in qualche modo avrebbero potuto fornire informazioni utili.
Allo stato, inoltre, non c’è una sola prova accettabile dal punto di vista processuale che consenta ai nostri investigatori ed inquirenti di avere elementi che riconducano l’omicidio del ricercatore ai rapinatori uccisi giovedì.
Gli inquirenti italiani continuano nelle indagini e seguono nuove piste, ma il lavoro da fare è difficile e l’Egitto non collabora, a partire dalle immagini delle telecamere della zona dove abitava Giulio Regeni e delle due stazioni di metropolitana che utilizzò la sera della scomparsa, prosegue il Messaggero Veneto:
“Immagini che gli egiziani dicono essere state cancellate o non utili ma che i nostri investigatori vogliono comunque visionare, e la consegna dei tabulati con l’elenco dei telefoni che il 25 gennaio hanno agganciato la cella che copre la zona dove abitava il ricercatore e di quelli contenenti i cellulari che il 3 febbraio hanno impegnato la cella dove è stato ritrovato il cadavere di Giulio.
«La Procura di Roma ritiene che gli elementi finora comunicati dalla Procura egiziana al team di investigatori italiani presenti al Cairo non siano idonei per fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni e per identificare i responsabili dell’omicidio». Lo afferma il capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone.
La Procura, fa sapere ancora Pignatone, «ritiene quindi necessario che le indagini proseguano, come del resto si evince da un comunicato diramato dal ministero dell’Interno egiziano» e «rimane in attesa che la Procura Generale del Cairo trasmetta le informazioni e gli atti, da tempo richiesti e sollecitati, e altri che verranno richiesti al più presto in relazione a quanto prospettato ai nostri investigatori».
E il ministro Paolo Gentiloni, capo della diplomazia italiana, ha scritto su Twitter: “Su Regeni l’Italia insiste: vogliamo la verità”.