In un paese come l’India, dove all’estrema povertà è opposta l’estrema ricchezza, dove alle grandi capitali dei software e della tecnologia si oppongono le regioni dell’analfabetismo e della miseria, Dantewada, nello Stato del Chhattisgarh, è divenuta la capitale della guerra civile, un luogo dove tra la popolazione locale, gli adivasi, a governare sono i “maoisti” o “naxaliti” e la polizia non rappresenta l’ordine, ma il terrorismo.
Gli adivasi non sanno chi sia Mao e credono che il termine “maoisti” derivi dalla parola “maor”, che nella lingua Koya significa “i nostri”. Non conoscono Mao, ma conoscono i maoisti e li rispettano, anche se nella fascia tribale che va dal West Bengal all’Andhra Pradesh, quasi un terzo del subcontinente, i ribelli hanno fatto 1000 morti nel 2009, e sono già 800 i morti registrati nei primi sei mesi del 2010.
Ma come può un adivasi rispettare un naxalita, un ribelle che con la forza conquista i villaggi, e che ha sulla coscienza morti violente ed efferate? E come può rispettare la polizia, quando rappresenta uno stato che alimenta il divario tra la ricchezza dei grandi latifondisti e la povertà e la miseria di chi abita nei villaggi?
I naxaliti agli occhi degli adivasi sono dei moderni “Robin Hood”, confiscano terre e ricchezze ai latifondisti per redistribuirle alla popolazione, alla parola conquista preferiscono “liberazione” del villaggio, in cui sono impongono tasse in alimenti, istituiscono consigli e tribunali del popolo, che interpellano per decidere le esecuzioni, distribuiscono armi e creano gruppi di giovani milizie (reclutando uomini e donne) destinate ad entrare nelle schiere dei maoisti.
La polizia invece, assieme agli uomini del Salwa Judum, letteralemnte “caccia purificatrice”, attaccano i villaggi, uccidono, incendiano, saccheggiano e violentano. Vogliono i maoisti e radono al suolo centinaia di villaggi alla ricerca dei naxaliti, coloro che da ribelli diventano eroi, coloro che portano ordine e istituzioni nei luoghi dimenticati dallo stato.
Sebbene i maoisti rappresentino la giustizia nella regione del Dantewada, ed abbiano severe regole di comportamento e moralità, tanto che i responsabili di violenze, i fumatori ed i bevitori sono sottoposti a punizioni anche severe, le abitudini locali sono difficili da perdere, la corruzione dilaga anche nel movimento dei giusti, che risparmia la sua furia di “liberazione” alle ricche imprese che pagano alte tangenti, come nel caso della Essar Steel, gruppo minerario indiano che per il ferro nel Chhattisgarh sudorientale ha investito 1,5 miliardi di dollari, e pagando forti tangenti ha risparmiato dalle mire dei maoisti il moderno e lussuoso impianto, che fortemente stona con le strade sterrate e diroccate, con un fiume nella giungla ormai inquinato e non utilizzabile, con degli ideali di giustizia e di moralità che i capi del movimento, laureati e dottorati, propongono, ma per cui a morire e combattere sono le truppe analfabete assoldate nella giungla.