Indice dello sviluppo umano: Italia sopra Gb, in testa c’è la Norvegia

ROMA – L’Italia sorpassa il Regno Unito di quattro posizioni nell’indice di sviluppo umano, classificandosi fra i primi 25 Paesi in base al rapporto 2011 stilato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp). In vetta alla classifica rimane, come lo scorso anno, la Norvegia.

Lo studio analizza le condizioni di vita in 187 Paesi del mondo, misurandone la qualità in base ai livelli di scolarizzazione, l’aspettativa di vita e il reddito pro capite. Dopo la Norvegia, figurano Australia, Paesi Bassi, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Irlanda, Liechtenstein, Germania e Svezia.

L’Italia è al posizione numero 24, subito dopo la Spagna, ma nettamente prima di Regno Unito (28), e Grecia, (29). Fanalino di coda l’Africa, con i dieci ultimi Paesi in graduatoria, tra cui Ciad, Mozambico, Burundi e Niger, con la Repubblica Democratica del Congo che chiude la classifica.

Il Paese più evoluto in fatto di parità tra i due sessi è invece la Svezia, mentre all’estremo opposto figura lo Yemen. In questo campo l’Italia ottiene un buon risultato e in base all’Idg sale alla posizione numero 15, contro il 34esimo posto del Regno Unito e addirittura il 47esimo degli Stati Uniti. Tra il 1980 e il 2011, il valore dell’Isu italiano è aumentato del 22 per cento, con una crescita nell’aspettativa di vita (+7,8 anni), la scolarizzazione media (+4 anni) e gli investimenti lordi pro capite (+40 per cento dal 1980 ad oggi).

Entro il 2050 i progressi nello sviluppo umano globale potrebbero essere rallentati o persino invertiti senza misure che contrastino i danni ambientali, sottolinea il rapporto, rivelando lo stretto legame tra fattore ambientale e crescita e invitando tutti i Paesi del mondo a uno sviluppo più sostenibile. Si richiama l’attenzione su un incontrollato deterioramento ambientale, dalla siccità nell’Africa sub-sahariana ai crescenti livelli dei mari che potrebbero sommergere nazioni come il Bangladesh, che potrebbe causare un aumento dei prezzi alimentari fino al 50 per cento e invertire gli sforzi per migliorare l’accesso all’acqua, agli impianti igienici e all’energia per centinaia di milioni di persone in Africa sub-sahariana e Asia meridionale.

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