BAGHDAD – “Ho ucciso mia madre per non lasciarla ai carnefici dell’Is” racconta uno dei tanti Yazidi in fuga dall’Isis e dal genocidio jihadista.
“Quando sono arrivati i jihadsiti nel mio villaggio, vicino a Sinjar, hanno cominciato a uccidere tutti quelli che incontravano, sparando dalle macchine in corsa” racconta all’inviato di Repubblica, Pietro Del Re, Yalmaz Shanin, uno dei tanti sopravvissuti alla furia islamista.
“Tornando a casa – racconta l’uomo – quel giorno, ho visto decine di cadaveri per le strade. Anche mio padre è morto così, colpito sull’uscio di casa. Non abbiamo neanche potuto seppellirlo: poche ore dopo, appena è tramontato il sole, ho preso il mio fucile e siamo fuggiti verso le montagne, mia madre, i miei due fratelli ed io. Ma appena abbiamo cominciato ad arrampicarci mia madre s’è storta una caviglia. Abbiamo provato a prenderla in braccio, ma senza riuscirci. In quel momento, sotto di noi, abbiamo sentito le urla e gli spari degli islamisti. Mia madre era terrorizzata, e mi diceva, anzi mi implorava di spararle affinché non fossero i jihadisti a farlo. Io non volevo darle ascolto, non volevo sentirla. Lei non riusciva a muoversi, e a un certo punto le ho sparato. E ho ucciso lei e me. Perché finché vivrò non potrò mai perdonarmi di averle ubbidito”.
“Non riuscivamo a parlare – racconta un altro Yazidi fuggito dal monte Sinjar – non sapevano dove andare, non ricordavano neanche come si chiamavano né da dove venivano. Era come se non riuscissero a uscire dall’incubo che le perseguitava. Sono finalmente partite su un camion verso la Siria, per poi rientrare in Iraq. Chissà che cosa hanno vissuto? Chissà quale abbominevole martirio hanno subìto?”
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