Iraq, partiti gli ultimi soldati Usa. Finita Iraqi Freedom

NEW YORK, 18 DIC – Alle prime luci dell'alba, l'ultima colonna di mezzi blindati con la bandiera degli Stati Uniti e con a bordo circa 500 soldati americani ha attraversato il confine iracheno-kuwaitiano, in mezzo al deserto, chiudendo cosi' definitivamente l'operazione 'Iraqi Freedom', liberta' per l'Iraq: nove anni fa l'allora presidente George W. Bush l'aveva lanciata, affermando che gli Usa non avrebbero accettato ''altro che la vittoria''.

Senza informare i loro interlocutori iracheni, per motivi di sicurezza, gli ultimi soldati americani in Iraq si sono messi in viaggio, quasi in silenzio, che era ancora notte fonda.

Sono partiti dalla Base Adder, che ora si chiamera' Base Imam Ali, nei pressi di Nassiriya; l'ultima delle 505 basi di cui gli Stati Uniti hanno potuto disporre in questi anni in cui sono arrivati ad avere in Iraq fino a un massimo di 170 mila soldati.

Probabilmente, gli 'ultimi 500' arriveranno a casa ''entro le feste di fine anno'', come aveva annunciato il presidente Barack Obama, che come aveva promesso in campagna elettorale ha chiuso la guerra a cui era sempre stato contrario.

E che e' costata la vita a circa 4.500 soldati americani e a centinaia di migliaia di iracheni; oltre a quasi mille miliardi di dollari. La ''decisione iniziale'' di scatenare il conflitto, ha detto Obama, ''sara' giudicata dalla storia'', ma intanto, gli iracheni si trovano ora a fare i conti con il presente, che non e' dei piu' rassicuranti.

Certo, la violenza e' negli ultimi tempi andata calando. A Baghdad e negli altri centri del Paese non esplodono piu' diverse autobomba ogni giorno, ma le tensioni interconfessionali rimangono forti, anche a livello politico, e tutto puo' precipitare nuovamente, molto in fretta. E in questo caso, a cercare di arginare la violenza ci saranno circa 900 mila uomini delle forze di sicurezza irachene il cui addestramento ed equipaggiamento e' ancora lungi dall'essere stato completato.

Diversi leader tribali sunniti, in particolare nelle turbolente province di al Anbar, Salaheddine e Diyala, cercano di ottenere una forte indipendenza da Baghdad, cosi' come i leader curdi nel ricco Nord petrolifero del Paese sono sempre piu' lontani dal governo centrale a grande maggioranza sciita, che deve peraltro fare i conti anche con aspre divisioni all'interno della sua stessa maggioranza. Ancora ieri, il partito al Iraqiya, che finora ha sostenuto il premier Nuri al Maliki e che ha 89 deputati, ha sospeso la sua partecipazione ai lavori parlamentari.

E nonostante il Paese abbia ripreso ad esportare circa 2,2 milioni di barili di petrolio al giorno, incassando cosi' un notevole flusso di miliardi di dollari, i servizi per la popolazione sono ancora molto scarsi, con l'elettricita' che a Baghdad e nelle maggiori citta' viene quotidianamente erogata solo per alcune ore di seguito.

Il giudizio finale spetta alla storia, ha concordato oggi il New York Times, aggiungendo pero' che sara' un giudizio ''contaminato per sempre dagli iniziali passi falsi e errori di calcolo, dall'errata intelligence sui programmi di armamento di Saddam Hussein e i suoi presunti legami con i terroristi, e da una litania di abusi americani, dallo scandalo delle torture nella prigione di Abu Ghraib, alla sparatoria che ha coinvolto i contractor della Blackwater in cui sono morti civili. Una somma di penosi fattori che ha ridotto la posizione degli USA nel mondo islamico, e il loro potere di influenzare gli eventi in tutto il mondo''.

Chissa' se pensava a tutto questo il sergente Rodolfo Ruiz, che appena giunto in Kuwait ha detto ai suoi uomini: ''Ehi ragazzi, ce l'avete fatta!''. E poi, ha ordinato loro di non suonare il clacson o fare giochi con le luci abbaglianti delle loro Humevee.

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