Italiani in Crimea: ritorna la paura dopo un secolo di persecuzioni

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Marzo 2014 - 06:50 OLTRE 6 MESI FA
Italiani in Crimea: ritorna la paura dopo un secolo di persecuzioni

Italiani in Crimea: ritorna la paura dopo un secolo di persecuzioni

SINFEROPOLI, CRIMEA (UCRAINA) – Nella tempesta ucraina c’è anche una scialuppa italiana. È la piccola comunità degli italiani in Crimea, insediatasi nella penisola sul Mar Nero già al tempo delle Repubbliche marinare, poi arrivata nell’Ottocento a contare cinquemila componenti. Uomini di mare (pescatori e marinai), operai nei cantieri navali, agricoltori attirati dagli ettari di terra disponibile. Pugliesi, liguri, toscani, campani.

Ora ne sono rimasti soltanto cinquecento, e in questi giorni in cui soffiano venti di guerra in Crimea, in loro rivivono i racconti dei padri e dei nonni, perseguitati durante tutto il Novecento. Racconta Francesco Battistini sul Corriere della Sera:

“Diffidenti, e con poca voglia di raccontare una storia che nessuno ha mai voluto ascoltare. I Bruzzone, i Dell’Olio, i Di Lerno, i De Martino. «I miei nonni erano di Bisceglie – dice Galina Scolarino -, vennero sotto Caterina la Grande a sistemare le vigne, insegnare ai marinai delle navi. E pensare che i russi erano i grandi amici della nostra famiglia, i benefattori…».

I vagoni piombati, i gulag, la fame. Obbligati a stare nei kolchoz. Pochi tornarono a Kerk, quasi nessuno in Italia. […] Le memorie degli italiani di Crimea sono vernice ancora fresca, piaga aperta. […] «Kerk è stato il fronte della guerra fra nazisti e sovietici. Questo stretto, lo volevano controllare tutti. E quando Stalin ha vinto, sono cominciate le deportazioni». Nel 1942, presero tutti quelli che erano accusati d’avere aiutato i nazisti. I tatari, soprattutto. E poi gli italiani che vivevano qui, quasi quattromila persone, perché passavano per fascisti anche se nascondevano gli antifascisti esiliati. Mandati per la metà a morire durante il viaggio, bambini compresi: «Tanti di noi sono stati portati in Asia centrale, in repubbliche lontane. Condannati ai lavori forzati. Scomparsi nel nulla per vent’anni, fino all’epoca di Krusciov. I miei parenti sono finiti in Kazakistan…». E adesso? «Non m’interessa stare con la Russia o con l’Ucraina. Voglio solo la pace. Questi russi non sono quei russi là, lo so: io ho pure studiato a San Pietroburgo. Però io ho paura lo stesso: e se ci deportano ancora?»”