Sono 16 gli ostaggi italiani nel mondo, tra lunghi silenzi e false piste

Francesco Azzarà (Foto LaPresse)

ROMA – Sono 16 gli italiani rapiti ancora sono in mano ai sequestratori, sparsi tra le terre e i mari del continente africano. La maggior parte, ben dodici, sono in mano ai pirati somali, che li tengono sotto la minaccia delle armi, in attesa di poterli scambiare con sacchi pieni di dollari. Poi ci sono i cooperanti: da Francesco Azzarà, sequestrato ad agosto in Darfur, fino a Rossella Urru, catturata una settimana fa in Algeria. Ma anche chi in Africa c’era andato per lavorare, come l’ingegnere Franco Lamolinara in Nigeria, o per turismo, come la fiorentina Maria Sandra Mariani in Algeria.

Potrebbero esserci sviluppi per i cinque italiani a bordo della petroliera Savina Caylyn (insieme agli altri membri dell’equipaggio, 17 indiani). Qualche giorno fa la vicenda della nave sequestrata l’8 febbraio scorso, nelle acque tra la Somalia e l’isola yemenita di Socotra, è tornata alla ribalta per il drammatico appello lanciato dai sequestrati. “Ci stanno torturando, stiamo morendo. Aiutateci!”: questo il grido disperato lanciato da Antonio Varrecchia, il direttore di macchina, originario di Gaeta. Accanto a lui c’era il triestino Eugenio Bon, 30 anni, mentre gli altri tre italiani (Gianmaria Cesaro di Piano di Sorrento, Crescenzo Guardascione e Giuseppe Lubrano di Procida) sono stati trasferiti a terra.

Discorso diverso, invece, per i sei italiani sulla Rosalia D’Amato, sequestrata il 21 aprile scorso dai pirati somali al largo delle coste dell’Oman. A bordo ci sono il messinese Orazio Lanza (comandante), Antonio Di Girolamo (direttore di macchina di Marsala), Giuseppe Maresca (secondo ufficiale di coperta, di Vico Equense), Pasquale Massa (primo ufficiale di coperta, di Meta di Sorrento ma residente in Belgio), Gennaro Odoaldo (terzo ufficiale di coperta) e Vincenzo Ambrosino (allievo ufficiale di macchina), entrambi di Procida. Di loro e dei 15 filippini membri dell’equipaggio si sa pochissimo, solo che le condizioni di salute sono precarie (si parla di casi di tubercolosi a bordo) e che i pirati avrebbero chiesto sei milioni di dollari di riscatto.

È passato invece più di un anno dal rapimento di Bruno Pellizzari, ma di lui non si sa più quasi nulla. Il velista, che ha anche la cittadinanza sudafricana, era a bordo di uno yacht con la compagna Deborah Calitz al largo della Tanzania quando i pirati somali li hanno catturati. Tenuti in ostaggio da dodici mesi, i sequestratori hanno chiesto un riscatto di dieci milioni di dollari. Denaro che le loro famiglie non possono pagare.

Risale a più di due mesi fa il sequestro di Francesco Azzarà, il volontario calabrese di 34 anni che lavora per Emergency. Il cooperante è stato rapito il 14 agosto a Nyala, capitale del sud Darfur, mentre si trovava in auto diretto verso l’aeroporto della città. Da quel giorno solo silenzio. Al momento nessuno ha rivendicato il suo sequestro. Nessuna telefonata, nessun video. Una situazione anomala, tanto che Cecilia Strada, presidente di Emergency, ammette come “dalla speranza di una liberazione imminente, si è passati a una situazione in cui il rilascio di Francesco appare più lungo. Siamo solo stati rassicurati positivamente dalle autorità locali sul suo stato di salute”.

Maria Sandra, 53 anni, è stata rapita il 2 febbraio scorso a Djanet, in Algeria. Da nove mesi la aspetta a casa, a San Casciano Val di Pesa, nel Fiorentino, insieme al marito Ledo e alla figlia Angela. Con loro c’è anche Alessio, che cerca di distrarsi lavorando. Ma la mamma è sempre nei suoi pensieri. Erano anni che la donna andava in Algeria. “La Farnesina ci dice di stare tranquilli – dice la madre – io spero solo di rivederla prima di morire”.

Dovevano essere i suoi ultimi giorni di lavoro ma i progetti di Franco Lamolinara, 47 anni, tecnico di una società di costruzioni svizzera, la Stabilini Visinoni Limited, si sono fermati il 12 maggio a Birnin Kebbi, in Nigeria. L’uomo, insieme ad un collega inglese, è stato sequestrato. I suoi rapitori, il 4 agosto, hanno inviato all’ufficio di Abidjan dell’agenzia France Presse un video. Nel filmato i due uomini dicono che i loro carcerieri appartengono ad Al Qaeda. Lamolinara e il collega, inginocchiati e bendati, chiedono ai loro governi di rispondere alle rivendicazioni dei rapitori. Poi più nulla.

Rossella Urru, rappresentante del Comitato Italiano Sviluppo dei Popoli (CISP) è stata rapita in Algeria nella notte tra il 22 e il 23 ottobre. Ha 27 anni ed è originaria della provincia di Oristano. E’ una studiosa del mondo arabo. Urru lavora nel campo profughi Saharaoui da due anni (al momento era l’unica italiana del Cisp presente nel campo) ed e’ coordinatrice dell’intervento della Ong per cui opera che realizza interventi per la nutrizione, per l’acqua e per la salute materno infantile. Il campo dove è avvenuto il sequestro accoglie 150 mila rifugiati. Il Cisp si occupa di questo tipo di interventi dal 1984.

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