ROMA – La Turchia sostiene che l’Arabia Saudia avrebbe ucciso il giornalista saudita Jamal Khashoggi, visto l’ultima volta nel consolato a Istanbul per concludere le pratiche di divorzio e poter sposare l’attuale fidanzata Hatice Cengiz.
Khashoggi, 59 anni, aveva lasciato alla Cengiz il suo cellulare, avvertendola che se non fosse tornato avrebbe dovuto avvisare un consigliere di Erdogan. Dopo aver atteso più di quattro ore, la fidanzata ha contattato la polizia.
Una fonte della polizia turca ha parlato in forma anonima con il Middle East Eye e ritiene che un commando di 15 persone “provenisse dall’Arabia Saudita, era un omicidio pianificato” e che il giornalista sia stato “torturato, assassinato e fatto a pezzi”.
“Tutto è stato videoregistrato per dimostrare che la missione era stata compiuta e il nastro è stato portato fuori dal paese”, ha detto la fonte.
L’agenzia di stampa turca Anadolu ha dichiarato che a Istanbul è stata aperta un’indagine sulla scomparsa di Khashoggi e le autorità turche sostengono che il giornalista non abbia mai lasciato il consolato.
L’Arabia Saudita ha negato che Khashoggi, noto oppositore del regime di Ryad e da alcuni mesi opinionista al Washington Post, sia stato arrestato per i suoi scritti sul quotidiano americano.
Tra i numerosi articoli critici sulla leadership saudita, riportiamo quanto scritto da Khashoggi il 18 settembre 2017 sul tabloid USA:”Con l’ascesa al potere, il giovane principe ereditario Mohammed bin Salman, aveva promesso riforme sociali ed economiche, di rendere il nostro Paese più aperto e tollerante, che avrebbe affrontato ciò che frena il progresso, come il divieto di guida alle donne.
“Ma tutto ciò che vedo è la recente ondata di arresti. La scorsa settimana, a quanto riferito, circa 30 persone sono state arrestate dalle autorità, prima dell’ascesa al trono del principe ereditario. Alcuni delle persone arrestate sono miei buoni amici e questo tentativo rappresenta l’umiliazione pubblica di intellettuali e leader religiosi che osano esprimere opinioni contrarie a quelle della leadership del mio paese”.
“È stato doloroso ma non ho detto niente. Non volevo perdere il mio lavoro o la mia libertà. Ero preoccupato per la mia famiglia. Ma ora ho fatto una scelta diversa: ho lasciato la casa, la famiglia, il lavoro e sto alzando la voce. Fare diversamente significherebbe tradire coloro che sono in prigione. Posso parlare mentre tanti non possono. Voglio che sappiate che l’Arabia Saudita non è sempre stata com’è attualmente. Noi sauditi meritiamo di meglio”.
Se confermato, l’omicidio segnerà un’escalation nell’impegno dell’Arabia Saudita per mettere a tacere il dissenso.
Sotto il regno del principe ereditario, le autorità saudite hanno effettuato centinaia di arresti in nome della sicurezza nazionale, tra cui dirigenti aziendali e perfino i difensori dei diritti delle donne, scrive il Washington Post.
Fred Hiatt, a capo della sezione editoriali, ha scritto che se quanto riportato sulla morte di Khashoggi si rivelasse vero, “sarebbe un fatto mostruoso e inspiegabile. Jamal era, e spero sia ancora, un giornalista impegnato e coraggioso. Scrive per amore del suo Paese. È rispettato nel suo paese, nel Medio Oriente e in tutto il mondo. Siamo stati enormemente orgogliosi di pubblicare i suoi articoli”.
In segno di protesta, il quotidiano americano ha pubblicato una colonna bianca al posto di quello che avrebbe potuto essere il commento periodico di Khashoggi.