LONDRA – Gli agenti del Mi5, i servizi segreti inglesi, si fecero scappare Jihadi John, il boia dell’Isis. Il boia jihadista è un cittadino inglese di 27 anni, Mohammed Emwazi, che per 6 anni è stato detenuto e interrogato dagli 007 inglesi per farlo diventare un informatore. La reazione non è stata quella sperata, anzi Mohammed è stato incattivito, e ora i media inglesi puntano il dito contro i metodi antiterrorismo dei servizi segreti.
Emwazi, scrive Repubblica citando il Times, era sulla watch list della Gran Bretagna e finì nel mirino degli agenti segreti:
“nel mirino dell’agenzia da oltre sei anni, sarebbe stato detenuto e interrogato, forse trattato con violenza, per spingerlo a collaborare. I metodi della guerra al terrorismo finiscono così di nuovo sotto accusa. Sembra che, come riporta il Times, i servizi segreti avessero tentato di trasformarlo in un informatore più volte, forse dodici, evidentemente non riuscendoci. Eppure Emwazi, così controllato dall’agenzia e presente sulla watch list, è riuscito a lasciare il paese e a unirsi allo Stato islamico in Siria”.
Ora l’organizzazione gruppo Cage denuncia che proprio i comportamenti degli agenti hanno indotto Emwazi a diventare Jihadi John:
“Asim Qureshi, del gruppo Cage, un’organizzazione critica sulla lotta al terrorismo, ha raccontato che Emwazy era una persona “estremamente gentile” e “buona”, fino a quando è stato interrogato dall’Mi5. Una posizione però difficile da sostenere, se Emwazy è stato arrestato nel 2009 mentre cercava di passare dalla Tanzania alla Somalia per unirsi ai miliziani di al-Shabaab, quando ancora lo Stato islamico non esisteva e le primavere arabe non erano iniziate. Per Qureshi, i metodi della polizia hanno “aumentato l’alienazione” di Emwazy, “la persona più umile che io avessi conosciuto”.
Il caso rischia di trasformarsi anche in politico, a soli due mesi e mezzo dalle elezioni politiche. Sir Menzies Campbell, memebro del comitato per l’Intelligence e la sicurezza del parlamento britannico, ha detto che i vertici dei servizi saranno interrogati dalla commissione, anche se solo dopo il voto. Se però il caso dovesse esplodere con più forza, non è detto che la resa dei conti anche in parlamento non possa arrivare prima”.
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