ROMA – E’ morto il cantante Joe Cocker: aveva 70 anni. Secondo le prime informazioni sarebbe stato un cancro ai polmoni a ucciderlo. Cocker è morto a Crawford, nel suo ranch in Colorado.
Joe Cocker, ex idraulico britannico di Sheffield con la passione per il blues, il soul e la musica nera, aveva compiuto 70 anni nel maggio scorso.
Cocker è uno degli eroi di Woodstock. Si era specializzato in cover dei Beatles e, con Jimmy Page alla chitarra, aveva inciso una strepitosa versione rock blues di “With a Little Help From My Friends”.
La sua performance rimane uno degli highlights della “tre giorni di pace, amore e musica”: l’urlo prima della reprise, che avrebbe spezzato le corde vocali di un uomo normale, fu come un grido di battaglia per milioni di giovani.
Diventò subito famoso anche negli Usa per la sua voce roca e le sue insolite movenze. Non a caso la sua imitazione rimane uno dei must di John Belushi, così come il duetto dei “due Joe Cocker” una delle tante perle di quella irripetibile stagione del Saturday Night Live.
Insieme a Leon Russell realizzò “Mad Dogs & Englishmen”, il suo primo, memorabile, live cui fu dedicato anche un documentario che è uno dei classici della cinematografia rock del periodo. Era il 1970 e presto cominciarono i problemi con gli abusi che misero a rischio carriera e salute. E’ stato il cinema a riportarlo allo status di star negli anni ’80: “You Can Leave Your Hat On” (un brano di Randy Newman) accompagna il conturbante spogliarello di Kim Basinger in “9 settimane e 1/2″ ed entra nella storia del costume, “Up Where We Belong”, un duetto con Jennifer Warnes inserito nella colonna sonora di “Ufficiale Gentiluomo”, vince l’Oscar.
Da eroe di Woodstock e della trasgressione, si trasforma in una star al cui servizio ci sono i migliori team di autori e produttori, nel 1987 arriva anche un altro mega hit, “Unchain My Heart”. In Italia ha trovato in Zucchero un fan entusiasta che ha modellato stile e movenze su quelle di Joe Cocker, ma anche Eros Ramazzotti ha inciso un duetto con lui.
Oltre ad aver vinto Oscar e Grammy, nel 2007 è stato nominato Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico, quasi a sancire la sua trasformazione. La sua voce roca rimane un autentico, imitatissimo, marchio di fabbrica nonostante negli ultimi tempi sia stato più un interprete mainstream che il rocker innamorato della black music degli inizi. Sul piano artistico andare oltre “You Can Leave Your Hat On” è stato difficile quasi quanto umanamente superare i suoi guai personali.
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