MALINDI – Silvia Romano, la volontaria italiana di 23 anni rapita in Kenya nove giorni fa, sarebbe stata costretta ad indossare un niqab, il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi, e i rapitori le avrebbero coperto la pelle del viso con del fango per non farla riconoscere. E’ quanto sostengono fonti della zona in cui la giovane è tenuta in ostaggio e a Malindi. Sempre per non farla riconoscere, i sequestratori le avrebbero tagliato le treccine con un coltello, ritrovate domenica scorsa nella foresta a nord di Malindi.
Secondo le fonti, “è naturale che i rapitori abbiano fatto questo, perché si trovano in una zona a prevalenza musulmana caratterizzata dalla presenza di tribù di origini somale, tra cui gli ‘Orma‘ a cui appartengono i sequestratori. Si tratta di comunità dedite alla pastorizia e all’agricoltura nelle quali il niqab è molto diffuso.
Giorni fa, l’emittente keniana Ntv aveva riferito che alcuni abitanti della zona costiera dove è stata rapita Silvia “hanno visto la volontaria italiana con i suoi rapitori”. Gli abitanti “delle comunità di Garsen e Bombi, coinvolti nelle ricerche, si sono addentrati nella foresta”, ha affermato la tv. Intanto, la situazione sul campo lascia intuire – spiegano alcuni osservatori – che l’operazione per la liberazione della ragazza è entrata in uno stadio avanzato.
I sequestratori si sarebbero spinti fino al punto di pagare dei rifornimenti di cibo con la app per smartphone largamente utilizzata nel Paese. La stessa che avrebbero voluto Silvia utilizzasse per trasferire soldi su un loro conto, una sorta di ‘auto-riscatto’ che però la ragazza non ha potuto pagare perché non aveva con sé il telefono.
Si ipotizza che la banda – secondo alcune fonti nella foresta ci sarebbero più di tre persone a tenere in ostaggio Silvia – volesse tentare la fuga attraversando il fiume Tanta, o forse navigandolo, verso le regioni somale dominate dagli Shabaab, uno dei pochi gruppi terroristici africani ancora legato ad al Qaeda. Ma i soldati di Nairobi hanno requisito le barche e si sono dispiegati nella zona erigendo una barriera impenetrabile per i rapitori.
Particolarmente utili per gli inquirenti sarebbero poi le informazioni ricavate dalla moglie di uno dei sequestratori, che dal momento del suo arresto domenica scorsa avrebbe “attivamente” collaborato alle indagini.