ROMA – In questi giorni di assedio parigino abbiamo spesso sentito pronunciare la parola Kosher: uno dei tre killer islamici che hanno terrorizzato la Francia, Amedy Coulibaly, si era asserragliato in un ipermercato kosher di porte de Vincennes, nel centro della capitale, prendendo una ventina di ostaggi e minacciando una nuova strage in caso i fratelli Kouachi non fossero stati liberati. Ne ha ammazzati quattro prima che la polizia irrompesse nel negozio e lo uccidesse.
Ma cosa vuol dire esattamente kosher? E’ una parola ebraica che sta ad indicare quell’insieme di regole alimentari che gli Ebrei osservanti devono seguire. Significa letteralmente conforme alla legge, e cioè consentito dalla Torah, la Bibbia degli Ebrei.
Uno dei divieti più noti è quello di non mescolare la carne con il latte. Nello stesso pasto è vietato cucinare il latte (o dei suoi derivati ad esempio il burro ) con carne di qualunque animale. Per questa ragione gli ebrei osservanti hanno due servizi di piatti e stoviglie diversi, scomparti distinti in frigorifero, ed anche spugne separate.
Gli animali ammessi sono i ruminanti con lo zoccolo fesso cioè spaccato in due parti, come la mucca, il vitello, la pecora, la capra etc. Non sono ammessi dunque il coniglio, il maiale, il cavallo, ecc. Non sono consentiti neppure gli animali senza squame e senza pinne (né crostacei né molluschi) e niente uccelli rapaci e rettili.
La macellazione o shechita è forse la parte più controversa della tradizione kosher. Il rituale deve essere eseguito da un rabbino competente fornito di licenza della Comunità Ebraica. L’animale viene ucciso con un solo taglio alla gola, eseguito con un coltello affilatissimo e senza alcuno sgraffio sulla lama. La bestia viene poi lasciata morire a testa in giù fino al completo dissanguamento. Una pratica non esattamente umana e non dissimile dalle pratiche halal, la macellazione sacra degli arabi.
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