Esecuzione di Bin Laden: un atto di giustizia? Giurista tedesco dice no

«Giustizia è stata fatta», con queste parole Barack Obama ha concluso il messaggio con il quale annunciava al mondo la morte del ricercato numero uno, il terrorista Osama bin Laden. Di fronte a tali parole, bisogna fermarsi per investigarne l’esatto significato. In quale senso la morte di un uomo è un atto di giustizia? Uccidere un terrorista è un atto legittimo? che non pone nessun quesito morale?

A queste domande tenta di rispondere il settimanale tedesco Spiegel grazie all’aiuto di Kai Ambos, esperto di diritto internazionale, professore alla storica università di Goettingen e autore di numerosi saggi sul processo penale. Subito, una prima considerazione si impone alla filosofia e alla coscienza dell’uomo. Anche i terroristi sono esseri umani, e come tali posseggono dei diritti fondamentali, i diritti fondamentali dell’uomo appunto – principi universali e inderogabili di ogni essere vivente. Tra questi, si trova senz’altro il diritto alla vita, e quello ad un equo processo. Nel caso di Osama bin Laden, entrambi sembrano essere stati calpestati dall’intervento omicida delle truppe americane.

La non colpevolezza dell’assassinio, sostiene il giurista tedesco, è concepibile nel diritto solo in pochissimi casi: in tempi di guerra e secondo le prescrizioni del diritto di guerra (ius in bello), che regola la definizione dei combattenti (i nemici che possono essere attaccati), le modalità dell’attacco (ad esempio le armi ammesse) e il ruolo dei civili. In tempi di pace, il diritto alla vita può essere limitato solamente in casi particolari, nella fattispecie nelle contingenze relativa all’auto difesa. Ora, sembra certo che Osama bin Laden fosse disarmato al momento dell’intervento. Questo vuole senz’altro dire, come diverse fonti hanno sostenuto, che l’omicidio dell’intervento non è stato causato dalla concitazione del momento, ma da una scelta deliberata e premeditata. Si è trattato dunque di una vera e propria esecuzione, una kill operation come ha detto una fonte anonima dei servizi segreti americani.

Per Kai Ambos, dal punto di vista del diritto, non sembra nemmeno concepibile immaginare che l’esecuzione sia intervenuta in un contesto bellico. Nonostante l’America abbia anni fa lanciato l’ormai celebre War on Terror, questo non significa che gli Stati Uniti conducano veramente una guerra contro i terroristi. La retorica fuorviante inaugurata dai conflitti di George W. Bush ha forse fatto dimenticare che i terroristi contro cui questa guerra è stata dichiarata costituiscono una rete a maglie sciolta e decentralizzata. In nessun modo essi corrispondono alla definizione di «parte in conflitto» prevista dal diritto di gguerra, la quale prevede un territorio controllato e dei vertici di comando. Anche se per un attimo volessimo poi per assurdo immaginare che gli Stati Uniti siano veramente in lotta con Al Qaeda, anche così non si potrebbe giustificare moralmente l’uccisione di un «combattente» isolato, disarmato e, come sembra capire, senza più un ruolo operativo all’interno dell’organizzazione.

Conclusione: in nome della giustizia, gli Stati Uniti hanno calpestato i diritti fondamentali di un uomo, probabilmente un uomo malvagio – che doveva essere punito – ma pur sempre un uomo, con dei diritti, compresi quello alla vita ed ad un giusto processo. Un omicidio senza processo rappresenta, anche negli Stati Uniti, un esecuzione extra legale, un atto indegno di una democrazia e di uno stato di diritto. Si tratta di uno di quegli atti per cui gli stati un tempo chiamati «canaglia» o le dittature finiscono davanti ai tribunali internazionali. Chi, come ha fatto gli Stati Uniti, conducono questo tipo di azioni rinunciano al loro diritto a rimproverare gli stati che commettono le stesse pratiche. E commettono un atto di ingiustizia.

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