Bastoni e tubi: le armi di tortura della Libia di “transizione”

TRIPOLI, 13 OTT –  Bastoni, corde e tubi di legno: sono le nuove armi di tortura nella Libia della rivolta anti-Gheddafi, secondo quanto riporta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, sul Corriere della Sera.

Amnesty, scrive Noury, ha incontrato 300 dei 2500 prigionieri di Tripoli e al Zawiya, distribuiti in undici centri di detenzione. I catturati sono soldati e miliziani leali a Gheddafi, veri o solo presunti, cittadini dell’Africa subsahariana che per questo potrebbero essere mercenari, libici neri della zona di Tawargha che, per il loro luogo di origine (vicino alla lealista Misurata), potrebbero essere fedeli al rais.

Secondo i racconti raccolti da Amnesty International, le guardie anti-Gheddafi picchierebbero spesso i detenuti per ottenere più rapidamente confessioni, e a questo scopo si servirebbero di bastoni, cinture, calci dei fucili e cavi di gomma.

Almeno due guardie, in due distinti centri di detenzione, hanno ammesso ad Amnesty International di aver picchiato i detenuti per ottenere “confessioni” più velocemente.

Per di più, scrive Noury, per i detenuti della transizione c’è il rischio di finire in un buco nero.

A settembre, rappresentanti del Cnt avevano ammesso che c’era un problema nei centri di detenzione e si erano impegnati a riportare sotto il loro controllo le proprie milizie armate e ad assicurare il rispetto dei diritti dei detenuti. Ma la situazione non è cambiata.

 

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