Omicidio di Giulio Regeni, qualcuno voleva rovinare i rapporti tra Italia e Egitto?

Giulio Regeni (foto Ansa)
Giulio Regeni (foto Ansa)

ROMA – Giulio Regeni fu vittima di un disegno diabolico, di chi voleva rovinare i rapporti fra Italia e Egitto? Si chiamano in gergo “dirty tricks”, giochi sporchi. Il disegno si può ricondurre alle grandi manovre anglo francesi culminate con la guerra in Libia del 2011. Obiettivo il petrolio, vittima finale l’italiana Eni. Ma non solo l’Eni. I rapporti fra le industrie italiane e l’ Egitto sono intensi. È del 17 agosto la notizia che una delle più grandi aziende italiane, la Danieli di Udine, ha firmato un accordo per costruite un impianto siderurgico ad Ain Sokhna.

Con il passare del tempo, trova conferma quanto si leggeva nella nota di Agenzia Nova, del 12 febbraio 2016: “Le prime impressioni provocate dalla vicenda di Giulio Regeni, il giovane ricercatore della Cambridge University torturato e ucciso al Cairo, si confermano e si precisano.

I testimoni raccontano che Regeni è stato prelevato da uomini in abiti civili nei pressi della sua abitazione, che non è mai arrivato all’appuntamento con Gennaro Gervasio, l’insegnante della British University che ne seguiva i progressi, e che questi, già alle 23:30 del 25 gennaio, tre ore dopo il mancato appuntamento, avverte della sua scomparsa l’ambasciatore d’Italia al Cairo, Maurizio Massari, il quale a sua volta allerta subito i servizi italiani presenti nella capitale egiziana. Si viene a sapere, inoltre, che dopo la scomparsa del giovane giunge al Cairo il generale Alberto Manenti, direttore dell’Aise, l’agenzia d’intelligence estera. Il quale tornerà a Roma il 4 febbraio, giorno in cui viene fatto trovare il cadavere di Regeni. Appare evidente, dunque, che il ricercatore era “attenzionato” dai servizi egiziani e, forse, anche da quelli italiani.

La determinazione con cui da parte italiana si punta subito agli apparati di sicurezza egiziani non può essere ignorata. Non è chiaro, però, il motivo per il quale i rapitori abbiano infierito così crudelmente sul giovane, del quale conoscevano con ogni probabilità tutti i possibili segreti.

Il cadavere di Regeni, orrendamente sfigurato, non viene fatto sparire, ma viene anzi lasciato trovare a poca distanza da una sede dei servizi egiziani, e da una caserma della polizia nota per le sevizie che vi vengono praticate. Il ritrovamento, infine, avviene durante la visita al Cairo di un’importante delegazione imprenditoriale italiana, guidata dal ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi. L’intenzione dei torturatori di Regeni, dunque, appare evidentemente quella d’inferire un duro colpo alle relazioni tra Italia ed Egitto. I due paesi – e in particolare il premier Matteo Renzi e il presidente Abdel Fatah al Sisi – coltivano rapporti d’amicizia e sono legati da importanti interessi, soprattutto in campo energetico. Eni ha scoperto al largo delle coste egiziane il grande giacimento gassifero di al Zohr, che al Sisi vorrebbe vedere in funzione il prima possibile, per sollevare la prostrata economia nazionale. La vicenda di Regeni rischia invece di rovinare i rapporti anche sul piano della cooperazione industriale, e di ritardare quindi lo sfruttamento di al Zohr. Non è logico che al Sisi abbia ordinato o che possa tollerare l’uccisione del giovane ricercatore italiano, eppure le autorità del Cairo si mostrano reticenti. E’ come se il regime non possa sconfessare una sua importante struttura, o denunciare l’azione esterna di un influente paese straniero. Ipotesi che potrebbero non essere alternative”.

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