ROMA – “No alla pena di morte“, dice il governo italiano sul caso dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Eppure, secondo la stampa indiana, il rischio che i due marò italiani detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori indiani del Kerala possano essere condannati è concreto, come scrive il quotidiano Hindustan Times. Ma la ministra degli Esteri, Emma Bonino, lo esclude: “Il rischio di una condanna alla pena di morte per i due marò è già stato smentito ed escluso”.
Poco prima della presa di posizione di Bonino Delhi aveva ribadito la propria posizione a proposito dei marò: ”il caso non rientra tra quelli che sono punibili con la pena di morte”, come ha detto il portavoce Syed Akbaruddin.
“Siamo pronti ad ogni evenienza con mosse e contromosse”, ha replicato Staffan de Mistura, inviato del governo per la vicenda dei fucilieri della Marina. De Mistura ha precisato che si tratta comunque di “illazioni di stampa che né l’Italia né l’India commentano” perché “anche in passato le illazioni sono state smentite dai fatti”.
Nel rapporto presentato dalla polizia indiana Nia, secondo una legge locale, sarebbe possibile richiedere la pena di morte i due marò. La decisione finale spetta comunque al giudice, che dovrà formulare i reali capi di accusa.
Il quotidiano indiano ha avuto conferma la sera del 27 novembre della consegna del rapporto dai ministeri degli Interni, Esteri e dalla stessa Nia. Parlando con l’Ansa, una fonte diplomatica ha tuttavia ricordato ”che la decisione finale spetta al giudice che dovrà formulare i reali capi di accusa” a carico di Latorre e Girone.
Il giornale sottolinea, inoltre, il forte contrasto esistente tra gli Esteri e gli Interni sulla vicenda. Lo scorso aprile, il ministro degli Esteri Salman Khurshid, infatti, si era impegnato con l’Italia sostenendo che il caso dei maro’ non rientrava fra quelli “rari tra i piu’ rari” che prevedono l’applicazione della pena di morte. Lo stesso ministero degli Interni aveva modificato un suo ordine alla Nia rimuovendo il riferimento al ”Sua Act”.
La legge, approvata nel 2002 in conformità con i trattati internazionali sulla sicurezza marittima, sarebbe al centro dell’acceso dibattito fra i due ministeri. La ”Legge per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della Navigazione marittima e le strutture fisse sulla piattaforma continentale” stabilisce chiaramente che se qualcuno uccide un altro, sarà passibile di pena di morte. Questo è fissato nell’articolo 3, comma g e i della legge in cui si dice che “Chi causa la morte di qualsiasi persona sarà punito con la morte”.
L’incidente della Enrica Lexie è avvenuto a 20,5 miglia nautiche al largo delle coste del Kerala, oltre quindi le acque territoriali indiane ma all’interno della cosiddetta ”zona di interesse economico esclusivo” che si estende fra 12 e 200 miglia nautiche e su cui il Sua Act si applica.
“La nostra logica – ha detto al giornale un responsabile della Nia – è che uccidendo i pescatori, i marò hanno commesso un atto che ha messo in pericolo la navigazione marittima. E siccome c’è stato un omicidio, sono passibili di essere accusati in base ad una Legge che prevede la pena di morte”.
Secondo quanto riferisce ancora Hindustan Times, il ministero degli Esteri si è impegnato ad ”assicurare che i due militari non siano perseguiti in base al Sua Act”. ”Questo sarebbe una violazione della promessa fatta da Khurshid – spiega – che ha il valore di una garanzia di uno Stato sovrano”
Per questo, dopo la consegna del rapporto della Nia, il dicastero degli Esteri ”farà un’attenta valutazione e esaminerà tutti gli aspetti legali prima di dare la sua posizione ufficiale”.
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