Marò, lo sconcerto generale per il “colpo di mano” del Governo

ROMA – Un “colpo di mano”, bugie e rivalità tra ministri del Governo Monti: all’indomani della marcia indietro dell’esecutivo sui due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, rispediti in India, su tutti i quotidiani si leggono interpretazioni e retroscena di com’è andata, oltre a commenti quasi unanimemente critici verso questo cambio di rotta improvviso.

Su Repubblica Vincenzo Nigro ricostruisce il pomeriggio che ha portato alla decisione di far tornare i due fucilieri a Delhi, dove sono accusati dell’omicidio dei due pescatori del Kerala.

Venerdì 15 marzo alle 15 Giorgio Napolitano convoca al Quirinale i tre “ministri del colpo di mano” (Esteri, Difesa, Giustizia). I tecnici che hanno deciso di sfidare l’India facendo saltare l’accordo per il rientro dei marò. Mai c’era stata una riunione col capo dello Stato prima dell’annuncio fatto da Terzi (l’11 marzo con un tweet) sul mancato rientro dei fucilieri. (…)

Ieri da Dublino il ministro degli Esteri che ha guidato la Farnesina in questa Caporetto della diplomazia italiana non ha fatto che occuparsi di India. Per provare a limitare i danni, soprattutto a rintuzzare le richieste di dimissioni che gli sono arrivate dal centrodestra e da metà della stampa italiana. (…)

Terzi ancora ieri, per allargare le responsabilità della retromarcia sull’India agli altri colleghi, ha detto che “le decisioni sul caso India sono state sempre collegiali”. “Non è vero”, dice il ministro che abbiamo sentito, “da sempre di India si è parlato in riunioni in formato ristretto, e soprattutto nell’ultima fase Terzi aveva escluso da ogni comunicazione non solo il sottosegretario con la delega per le organizzazioni multilaterali (Onu, Ue) Marta Dassù, ma lo stesso Staffan De Mistura, delegato all’Asia e in particolare proprio del negoziato con l’India”. “Terzi voleva fare della questione dei marò la sua medaglia per entrare in politica, arrivando a chiedere di cancellare qualsiasi presenza mediatica per i due sottosegretari”, dice un diplomatico che lavora alla Farnesina. Un esempio: a una radio nazionale ha fatto chiedere di non invitare più Dassù e De Mistura in trasmissione, altrimenti lui non avrebbe garantito più interviste. (…)

 

Anche il Corriere della Sera descrive il “pasticciaccio diplomatico” tra Roma e Delhi.

Il ministro degli Affari Esteri indiano, Salman Khurshid, assicura in toni perentori che tra Roma e New Delhi non c’è stato alcun «accordo» sul fatto che i due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, resteranno a piede libero e non rischiano la pena di morte. Un semplice chiarimento dato per iscritto al governo italiano che lo aveva chiesto, dice. Ma «nessun accordo a Ginevra, nessun accordo a Colombo, nessun accordo a Roma e men che meno nessun accordo a Delhi». Arrestarli non ha senso perché sono tornati entro la data stabilita dalla Corte suprema indiana quando, il 22 febbraio, ha dato loro la licenza per venire in Italia a votare. E la pena di morte non è mai stata un’eventualità perché — ha detto lo stesso ministro — l’Alta Corte indiana ha stabilito nel 1983 che questa si commina solo «nel più raro dei casi rari» e questa formula non si può applicare ai due marò. (…)

 

Era iniziata male il 15 febbraio 2012, quando Valentine Jalestine (45 anni) e Ajesh Binki (18) — due pescatori di Poothurai, un villaggio sul confine tra gli Stati indiani del Tamil Nadu e del Kerala — erano stati uccisi da colpi di arma da fuoco sparati da una nave mentre erano a bordo del peschereccio St. Anthony. In zona si trovavano tre petroliere e, quando la guardia costiera del Kerala chiese se una di loro avesse avuto uno scontro a fuoco con pirati del mare, solo l’italiana Enrica Lexie rispose affermativamente. Lì, probabilmente, ci fu il primo errore delle autorità italiane: richiesta di dirigersi nel porto di Kochi per identificare i presunti pirati, la petroliera, capitanata dal comandante Umberto Vitelli, lo fece. Non c’erano però banditi da riconoscere ma la polizia del Kerala che già il 17 febbraio iniziò a interrogare l’equipaggio: il quale ammise di avere avuto uno scontro con un’imbarcazione ma sostenne che erano stati sparati solo colpi di fucile in aria o in acqua. Il 19, Girone e Latorre, due dei lagunari a bordo della Enrica Lexie in missione antipirateria, furono arrestati: confermarono di avere sparato a scopo di avvertimento ma assicurarono di non avere colpito nessuno. Per parte sua, il proprietario del peschereccio indiano, Freddy Bosco, e i suoi compagni raccontarono di un’aggressione inspiegabile, ingiustificata. Nessuno dei pescatori, però, registrò il nome della petroliera. Fu la polizia, più tardi, a indicare la Enrica Lexie come la protagonista della sparatoria. Seguirono ricostruzioni e ipotesi di ogni genere, poi le prove balistiche, condotte anche alla presenza non operativa dei Carabinieri, contatti diplomatici, l’arrivo di de Mistura in Kerala. Mentre Girone e Latorre rimanevano agli arresti in una dependance della polizia, prima a Kochi e poi a Trivandrum, la capitale dello Stato. (…)

Dopo oltre cento giorni di detenzione, Girone e Latorre furono rilasciati il 2 giugno, dietro cauzione, con l’obbligo di non lasciare l’India. In dicembre ottennero la licenza per tornare in Italia a passare il Natale. (…) Il resto è cronaca dei giorni scorsi: gli italiani hanno il permesso di venire in Italia a votare, il ministro degli Esteri Giulio Terzi dice che non torneranno in India, poi il governo italiano cambia idea, a coronamento di una delle peggiori performance della diplomazia italiana nel dopoguerra. Più che una vittoria dell’India, «una triste testimonianza sull’inettitudine della diplomazia italiana», ha detto alla Bbcl’ex alto diplomatico indiano Kanwal Sibal.

 

La Stampa racconta lo sconcerto di politici ed esperti.

Sconcerto generale. «Una giornata che si ricorderà come un nuovo 8 settembre», dichiara Quagliariello, Pdl. «Torna l’Italietta», gli fa eco Renato Brunetta. «Pretendiamo delle spiegazioni per questa retromarcia vergognosa», dicono i capigruppo leghisti Massimo Bitonci e Giancarlo Giorgetti. «Forse la vicenda si sarebbe dovuta condurre in modo diverso. Se c’era l’idea di farli rimanere in Italia doveva essere comunicato prima all’India», commenta Giorgio Tonini, Pd. (…)

Chi ha seguito di più la vicenda, come Ignazio La Russa, difende però il ministro degli Esteri («L’unico che voleva tenerli qui, e già a Natale. S’è battuto») e accusa Mario Monti («Il sistema economico ha fatto pressioni sul governo per accontentare l’India. È tutto mercificato»).

Ma quanto nella vicenda c’entri il peso degli scambi commerciali lo fa capire anche il montiano (ex?) Mario Mauro: «L’Unione europea ha vissuto la vicenda dei nostri marò in un rapporto di totale sudditanza nei confronti dell’India che è una superpotenza. La scelta fatta dal nostro Paese di non restituire i due militari è però un grave errore che pesa sulla nostra immagine internazionale, anche perché l’India ha una magistratura che opera in assoluta indipendenza».

 

Il Giornale ricostruisce quello che “si nasconde dietro il voltafaccia sui marò:

I marò sono tornati in India scortati da Staffan de Mistura, il sottosegretario agli Esteri che cerca disperatamente di trasformare una figuraccia in una vittoria. «È come dire che a Waterloo ha vinto Napoleone», osserva con il Giornale un diplomatico, che ha seguito la vicenda.

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, dopo essersi illusi di restare a casa, sono tornati ieri nell’ambasciata italiana di New Delhi. In attesa dell’istituzione della corte speciale, che deciderà il loro destino, dovranno firmare una volta alla settimana presso il commissariato di zona e difficilmente otterranno nuovi permessi per tornare in patria. De Mistura appena atterrato in India ha auspicato «un processo rapido. Pochi mesi sarebbero l’ideale».(…)

Poi si è arrampicato tutto il giorno sugli specchi per spiegare tre concetti cardine sull’inversione a U del governo.(…)

Il ribaltone è avvenuto giovedì mattina nella riunione del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica con tutti i ministri interessati presenti. E poi ratificato dal Consiglio dei ministri. Al Giornale è stato riferito che Monti ha gelato Terzi e Di Paola. Il ministro della Difesa alla fine sarebbe anche sbottato denunciando il pericolo di una figuraccia.

Alla fine l’Italietta delle migliori tradizioni ha rimandato in India i marò calandosi le brache di fronte alle minacce indiane. De Mistura ha ammesso che «siamo riusciti a disinnescare una potenziale, pericolosa crisi diplomatica». Poi si è aggrappato al terzo cardine del voltafaccia: «La parola data va mantenuta». Non potevamo pensarci prima evitando una figuraccia?

 

Sempre il Giornale descrive lo sconcerto dei generali, “leoni guidati da agnelli”.

La rabbia nelle forze armate sta esplodendo. La rappresentanza dei marinai in armi esprime «lo sconcerto e il disorientamento del personale della Marina di ogni grado e ruolo in merito al destino di Latorre e Girone che stanno rientrando in India». Secondo il Cocer Marina «alla fermezza di un Paese straniero le nostre massime istituzioni non hanno saputo reagire con la stessa fermezza e determinazione».

Le reazioni dei militari in servizio sono pesanti. (…) Nel tam tam dei marinai la frase più gettonata è ripresa da un famoso film: «Non ho mai visto tali leoni guidati da simili agnelli». Lo stesso ammiraglio Giuseppe De Giorgi, Capo di stato maggiore della Marina, ha appreso la notizia dell’inversione ad U governativa dalle agenzie. «È incazzato nero» sostiene chi l’ha incontrato. (…) Chi ha combattuto in Afghanistan parla con disgusto di «decisioni prese da pagliacci». (…)

Molti militari sentono sul collo le preoccupazioni delle famiglie: «Come possiamo partire tranquilli? Con il timore dei nostri cari che in caso di incidente verremo giudicati non in Italia, ma in un altro paese?». (…)

Il più lapidario ed efficace è l’ex generale Mario Arpino: «Siamo di fronte ad una vergogna totale ed un danno enorme per tutto il sistema militare. Ci dicono che rimandiamo in India i fucilieri di Marina perché gli indiani hanno dato garanzie che non li condanneranno a morte. Non occorre: li abbiamo già fuciliati noi»

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