ROMA – “È necessario prepararsi al peggio — ha detto il premier russo Dmitri Medvedev durante il Gaidar Forum 2016 Russia and the World: Looking to the Future — se i prezzi del petrolio dovessero scendere ancora: le possibilità dello Stato non sono infinite”. Medvedev ha poi sottolineato che la classe media “si è impoverita ma che la crisi è ben lontana dai livelli del 1998”. Il rischio, ha aggiunto, “è che il Paese entri in depressione, dalla quale è altrettanto difficile uscire che da una crisi”.
Il prezzo del barile potrebbe calare fino a 10 dollari al barile entro la fine dell’inverno, almeno stando alle previsioni catastrofiche di Pechino che potrebbe presto svalutare di nuvo lo yuan in pieno rallentamento della propria economia. Una prospettiva condivisa dalla Londinese Standard Chartered che giustificherebbe così il terrore scoppiato tra diversi Paesi produttori, a cominciare dalla Russia. Il premier Dmitri Medvedev ha dovuto ammettere che se il prezzo del petrolio dovesse scendere ancora, il paese dovrà “prepararsi al peggio”, visto che la profittabilità del petrolio russo è legata alla quota 82 dollari. E non se la passa meglio il venezuela, con un’inflazione al 270% e la soglia del guadagno del suo petrolio ancorata a 111 dollari.
Con il prezzo del petrolio sotto i 30 dollari è a rischio sopravvivenza un terzo dei produttori di petrolio e gas degli Stati Uniti. L’allarme arriva dalla prima pagina del Wall Street Journal, che cita un report di Wolf Research, secondo il quale un terzo dei gruppi Usa potrebbe finire in bancarotta o passare attraverso una ristrutturazione entro la metà del 2017. Secondo gli analisti, invece, il livello di “sopravvivenza” sarebbe garantito dal petrolio a 50 dollari.