Meghan Markle, Meghan soprattutto, Harry è l’altro braccio che si muove con quasi impercettibile minor velocità, con chi ce l’hanno? Chi e cosa ha, secondo le confessioni e i ricordi radunati in ragionata e meditata intervista, ha indotto Meghan a pensieri suicidi?
E chi ha agitato lo spettro di un principino Archie dalla pelle quanto scura? Gli intervistati, o meglio l’intervista, forniscono due risposte: la stampa (soprattutto i tabloid, la stampa popolare…da noi sarebbe la tv del pomeriggio) e la Corte, in ultima analisi la Regina stessa.
L’intervista-Manifesto di Meghan Markle e Harry
Due riposte sono troppe per non essere volutamente ambigue. Per capire e pesare occorre partire dalla natura dell’intervista, che dirla intervista è ben poca cosa. E’ un manifesto, una costruzione, un edificio lungamente pensato e calibrato. Mesi di gestazione, accurata scelta delle frasi, dei tempi, delle parole. E dei loro effetti, ripercussioni e conseguenza mediatici, economici, politici.
Meghan Markle e Harry: due sceneggiature
Nell’intervista che non è un’intervista ma molto di più due sono le sceneggiature che si sovrappongono. La prima racconta del giustificato e comprensibile terrore che in qualche modo la storia si ripeta, la storia di Diana e della stampa che ne fece una dea e letteralmente la spinse alla morte. L’ossessione dei giornali popolari britannici per il privato dei reali, la gaudiosa feroce nel pubblicare il vero, il verosimile e anche il falso e l’inventato.
La professionale dedizione della stampa a tenere sotto eterno processo i membri della famiglia reale e soprattutto i loro amori e disamori. L’autentica e incontenibile libido della comunicazione di massa non nel guardare dal buco della serratura ma nell’infilarsi nelle mutande. Tutto questo, racconta l’intervista, stava ripetendosi con Meghan, bisognava letteralmente salvare la vita di Meghan tirandosi fuori.
La seconda sceneggiatura racconta di una monarchia britannica feroce nelle sue attitudini e abitudini. La scena dell’innominato che va a domandare ad Harry quanto pensa possa venir nero suo figlio evoca Torri di Londra e delitti dinastici d’altri secoli. Prima ancora che razzismo da terzo millennio. Nella seconda sceneggiatura è la Regina (e non la stampa) da cui promana la persecuzione. La Regina che, al minimo, non fa nulla o non fa il sufficiente e necessario perché il razzismo a corte (congenito?) non sia represso e bandito.
Meghan Markle e Harry: l’intervista impresa e investimento
L’intervista dunque, forse la chiave è nella sua gestazione nel suo lancio. La chiave per capire quale delle due sceneggiature sia la prediletta e perché due e non una. L’intervista è l’equivalente di una impresa, non sono due chiacchiere e neanche una lunga e accorata conversazione. E’ un’impresa con vasto budget, alte professionalità, programmazione, obiettivi. Le dimensioni dell’impresa le danno l’ampiezza della diffusione su scala globale, il compenso a Meghan e Harry, il tempo stesso della realizzazione e perfezionamento.
L’intervista è anche con tutta evidenza un investimento, di Harry e Meghan Markle su se stessi. Su se stessi in forma e ambito privato ovviamente. E’ la loro strada per tener salda e avvinta la coppia, la loro strada per fare, anzi essere famiglia. E’ la costruzione di una identità che prescinde dall’esser imparentati con famiglia reale, è un certificato di vaccinazione da quella precedente identità.
Secondo Harry e Meghan anche un lasciapassare per la felicità. Ed è anche un investimento in senso proprio: scegliendo il doppio antagonismo sia verso la stampa sia verso la Regina Meghan e Harry si assicurano posto e ruolo fisso nella grande industria della narrazione a tema, posto e ruolo fisso nella grande industria dell’informazione-intrattenimento.
Modello Me Too
Il modello dell’intervista, dell’impresa e del manifesto Meghan-Harry è quello della comunicazione Me Too. Non il Me Too del primo tumultuoso emergere di denunce di ciò che non si denunciava mai, ciò cui si soggiaceva. Il modello comunicativo e d’impresa dell’intervista Meghan-Harry è un “anche io” sono vittima. Vittima, la parola, il concetto, la comunicazione chiave. Della stampa pop, della Corte, forse della Regina stessa.
Del razzismo, dell’invidia, della ottusità dei protocolli, della malignità. Ecco perché non una ma due sceneggiature e ce ne possono stare anche tre o quattro dove la parte del carnefice viene assegnata in maniera plurale e sostanzialmente indifferente. Perché chiunque nel mondo si senta vittima di qualcosa possa identificarsi almeno un po’ in Meghan e Harry, le migliori vittime possibili sul mercato mondiale.