Migranti. Con i trafficanti di uomini ad Agadez, Niger. NYT

Migranti. Con i trafficanti di uomini ad Agadez, Niger. NYT
Migranti. Con i trafficanti di uomini ad Agadez, Niger. NYT

ROMA – Più della metà dei migranti dell’Africa occidentale che raggiungono le coste di Lampedusa per entrare in Europa prendendo la via del mare in Libia, partono da Agadez, in Niger. E’ in questa antica città snodo dei traffici commerciali del Sahara che almeno 80mila persone nel 2014, il doppio si stima quest’anno, devono raccogliersi se vogliono una chance di attraversare incolumi il deserto

Ed è qui che incontrano i primi “connections men”, i trafficanti di uomini che a queste latitudini si accontentano di cifre ben più modeste di quelle estorte da intermediari a vario titolo e scafisti che troveranno mille chilometri più a nord, nei dintorni di Tripoli. Adam Nossiter, reporter del New York Times, ci è andato per verificare sul posto il vero boom di locali coinvolti nel commercio che approfitta della disperazione di uomini, donne e bambini provenienti in larga misura dai paesi del Golfo di Guinea.

In questo momento il mestiere dei connections men è una delle pochissime opportunità lavorative, se non la sola, rimaste ad Agadez, un groviglio di vicoli praticamente abbandonato a se stesso prima che l’onda migratoria si sollevasse con l’impeto di questi anni. Una remota provincia di 90mila abitanti del Niger, stabilmente agli ultimi posti nella classifica dei paesi più poveri del mondo.

Un boom a dispetto delle misure di contrasto per questa pratica che più viene dichiarata illegale, più prolifica. Le varie testimonianze raccolte, anche fra chi è impegnato clandestinamente nel business, misurano l’entità del fenomeno e l’inconsistenza delle politiche repressive. Su ogni profugo si guadagnano 50 dollari, tutta l’economia della città si è concentrata su questa attività

“Molti ci mangiano con i profughi – ammette Ahmed Koussa, un politico locale – autisti, intermediari, signorotti locali”. Più di tutti ci mangiano i poliziotti che non si limitano alle mazzette ma, basta guardare le ferite su tutto il corpo dei migranti, li picchiano senza remore lungo il tragitto. Un suo collega aggiunge che senza ulteriori inasprimenti delle pene, “ivoriani e gambiani invaderebbero l’Europa”. 10 arresti sono stati effettuati nelle ultime settimane, gettando nel panico migliaia di profughi. 2mila di loro ogni settimana partono da Agadez.

Non li ha fermati nemmeno la scoperta di 48 cadaveri nel deserto. Mamadou Aliu faceva il camionista in Guinea Bissau: “Hey amico mio, qui in Africa di lavoro non ce n’è. Lavoreremmo come cani se ci faceste entrare”.

Un vero connections man che viene dal Senegal, un altro Mamadou in sfavillante tuta da ginnastica blu (qui tutti vestono abiti laceri e grigi) e cuffie Bluetooth nuove nuove, ha uno zio arrestato già due volte. Non vuole problemi, dice che ha smesso, ma conosce ogni indirizzo, ogni posto utile alla traversata. Dei migranti dice che nemmeno si riescono a contare. Dei trafficanti, di tutta la catena fino a Tripoli, dice che devono essere bravi, capaci: u piccolo guasto, una dimenticanza, nel deserto significa la morte certa per il carico umano.

I migliori sono i Toubus, gruppo etnico locale di bravi autisti. Loro consegnano il carico agli arabi sul versante libico. Partono dopo essere stati ammassati in spiazzi anonimi  delimitati da alte cancellate di ferro, li chiamo “ghettos”. La prospettiva di affrontare prima il deserto poi il mare non li spaventa. “Non si tratta di coraggio – conclude Mamadou – è la mancanza di ogni residua speranza”.

 

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