Il tesoro di Gheddafi & Co.: 120 miliardi di dollari in 42 anni da rais

Pubblicato il 24 Febbraio 2011 - 21:18 OLTRE 6 MESI FA

Muammar Gheddafi

TRIPOLI – Soldi e potere, potere e soldi: Muammar Gheddafi il record dei suoi sogni lo ha segnato con 42 anni da rais per un tesoro da 120 miliardi di dollari. Secondo il politologo Hasni Abidi, direttore del Centro di studi e ricerche sul mondo arabo e mediterraneo, le fortune del colonnello proverrebbero non solo dalle casse di Tripoli, ma anche e soprattutto da investimenti ad hoc pensati da Gheddafi padre in persona.

Petrolio, gas, infrastrutture, comunicazioni: il clan del leader libico tiene in pugno i settori-macchine da soldi del  Paese e non solo. Nella relazione di Abidi risalente al 2006 si parla di decine di migliaia di dollari all’anno dirottate nelle tasche dei figli. Fino a un giorno prima della rivolta il secondo figlio del tiranno, Seif Al Islam, ha mantenuto il proprio “accesso diretto” all’industria del petrolio attraverso la sua società “controllata”, la One Nine.

Solo grazie all’oro nero sono stati investiti in Libia circa 70 miliardi dollari attraverso la Libyan Investment Authority (Lia), un fondo istituito nel 2006.

E c’è di più perché il tesoro del dittatore è fatto di conti segreti a Dubai, in Asia, nei paesi ricchi del Golfo: da qualche parte questi soldi sono conservati. Per quanto riguarda la nostra Italia, con cui ha stretto un patto di amicizia, Gheddafi ha il 7,5 per cento del capitale di Unicredit, il 2 per cento delle azioni di Finmeccanica, il 7,5 per cento del club sportivo Juventus, il 2 per cento di Eni ed il 14,8 per cento di Retelit, una società controllata da Telecom Italia.

Nel 2009, ha investito circa 21,9 milioni di dollari in un complesso alberghiero nel capoluogo abruzzese de L’Aquila. In più tra le sue mire espansionistiche c’è progetto che riguarda Antrodoco, piccolo borgo vicino a Rieti scoperto dal leader libico in occasione del G8 all’Aquila e un altro su Fiuggi, a sud di Roma, le cui terme erano frequentate anche da Papa Bonifacio VIII.